Salerno, operaio morto in via Allende: pugno duro dei magistrati, pioggia di condanne

Il costruttore avrebbe ordinato agli altri operai di smontare l'impalcatura che non avrebbe avuto la protezione, per lui anche l'omicidio colposo

Un cantiere edile
Un cantiere edile
di Angela Trocini
Giovedì 22 Febbraio 2024, 06:10 - Ultimo agg. 14:08
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Era dicembre 2014 quando Andrea Cuomo, operaio di Santa Maria La Carità, morì nel cantiere edile Torre Orizzonte 2 di via Allende a Salerno, dopo essere precipitato da un'impalcatura in seguito ad un malore. Ieri per l’omicidio colposo sono stati condannati i costruttori Antonio Pastore e la figlia Annalisa rispettivamente a 3 anni e 6 mesi e a 2 anni e 6 mesi (entrambi difesi dall’avvocato Giuseppe Della Monica).

Inoltre ad Antonio Pastore i giudici della prima sezione penale (presidente Montefusco) del Tribunale di Salerno hanno inflitto anche 2 anni per aver ordinato agli operai di smontare l’impalcatura, priva di protezioni, da cui era precipitato il Cuomo modificando così lo stato dei luoghi del cantiere e ad 1 anno per abuso edilizio. Condannati solo per abuso edilizio ad un anno il direttore dei lavori, Giovanni Luigi Nocera ed il figlio Umberto (titolare della ditta che aveva commissionato la costruzione del complesso residenziale a Salerno) oltre che Annalisa Pastore. Sotto processo è finito anche un ufficiale dei carabinieri, il colonello Francesco Merone, condannato a 3 anni e 6 mesi: secondo le accuse, l’ufficiale avrebbe omesso di riferire cosa realmente accaduto nel cantiere al momento dell’infortunio mortale dell’operaio (omessa denuncia nella qualità di pubblico ufficiale, anche se non in servizio in quel momento).

Due furono le consulenze disposte in seguito al decesso sul lavoro: una nell’immediatezza dei fatti ed un’altra eseguita in un secondo momento, con la riesumazione del cadavere di Andrea Cuomo (i cui familiari, attraverso gli avvocati Giosuè D’Amora ed Annalisa D’Amora, si sono costituiti parte civile), che dimostrarono come il 57enne non sarebbe mai dovuto salire su un ponteggio in quanto affetto da stenosi coronarica e quindi non avrebbe dovuto svolgere mansioni che potevano sollecitare il cuore.

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L’operaio sammaritano, che lavorava da sette mesi presso il cantiere salernitano e deceduto per una improvvisa trombosi coronarica, evidentemente non era stato sottoposto alla prescritta visita medica in violazione della normativa antinfortunistica. Secondo la ricostruzione della procura, coloro che erano presenti nel cantiere avrebbero tentato di alterare la dinamica dell'incidente avvenuto il 2 dicembre del 2014 affermando che l'operaio era stato colto da malore in un momento in cui non stava neanche lavorando.

E mai, sempre secondo il racconto, sarebbe salito sull'impalcatura. Inoltre la procura ha sospettato che lo stesso ufficiale dei carabinieri abbia taciuto agli inquirenti elementi importanti sulla dinamica dei fatti: in quel momento il colonnello Merone (difeso dall’avvocato Michele Tedesco) si trovava in un cantiere attiguo in cui si stavano realizzando gli alloggi della cooperativa Fidelitas di cui era vicepresidente e della quale erano soci molti suoi colleghi. Il sospetto per gli inquirenti è che l'ufficiale, che ha sempre affermato la propria estraneità ai fatti, abbia contribuito ad inquinare le indagini agevolando il costruttore che operava in subappalto anche nel cantiere confinante. Ora si attendono le motivazioni dei giudici per capire cosa li abbia convinti sulle responsabilità (per alcuni ipotesi c’è stata l’assoluzione) degli imputati ed emettere nei loro confronti una sentenza di condanna in primo grado. Motivazioni che saranno vagliate dai difensori degli imputati per un appello che ribalti il verdetto di primo grado.