Salerno, assenteisti del Ruggi: i giudici d'Appello non ammettono il ricorso per prescrizione

Secondo il presidente del collegio la prescrizione era intervenuta già prima del ricorso in Appello

Una delle immagini che inchiodò gli assenteisti
Una delle immagini che inchiodò gli assenteisti
di Viviana De Vita
Sabato 2 Dicembre 2023, 04:15
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Appello inammissibile: reati già prescritti all’epoca del ricorso presentato dalla Procura. Si chiude così il processo di secondo grado sugli assenteisti del Ruggi protagonisti della bufera giudiziaria che, nel 2015, travolse l’ospedale cittadino portando a galla un presunto sistema truffaldino nell’utilizzo dei badge. Dopo la sentenza pronunciata nell’ottobre dello scorso anno dal giudice della seconda sezione penale del Tribunale di Salerno Lucia Casale che, con 83 assoluzioni, aveva chiuso il processo di primo grado su uno dei tronconi della maxi inchiesta sul Ruggi, il pubblico ministero Francesco Rotondo aveva fatto appello contro quelle assoluzioni. Ad apertura del processo nell’aula bunker del carcere di Fuorni, il collegio difensivo (avvocati Gino Bove, Giovanni Sofia, Anna Sassano, Francesco Saverio Dambrosio, Genserico Miniaci, Michele Tedesco), aveva ipotizzato la prescrizione dei reati prima della preposizione dell’Appello. Ieri i giudici hanno confermato la tesi della difesa:  l’impugnazione della Procura è inammissibile e la sentenza dello scorso anno è passata in giudicato divenendo cioè definitiva. Nell’atto del ricorso d’Appello era stato lo stesso magistrato a premettere che sebbene tutti i reati fossero comunque destinati ad essere estinti dalla prescrizione, c’era l’interesse della Procura a proporre appello poiché la prescrizione non salverebbe gli imputati, assolti perché il fatto non sussiste, dal risarcimento per il danno patrimoniale e per il danno all’immagine della pubblica amministrazione.
La sentenza assolutoria si fondava sul presupposto che la Procura non aveva dimostrato l’effettiva assenza dal servizio delle persone per le quali veniva timbrato il badge. Il giudice Casale, nella motivazione della sentenza, aveva cioè parlato di «carenze probatorie» che rendevano quindi impossibile concludere con una sentenza di colpevolezza a carico degli imputati.

Tale tesi era obiettata dal pm che, nel ribadire che «dal rilevante quadro probatorio fosse dimostrata non solo l’assenza dal servizio dei dipendenti che non avevano timbrato il badge, ma anche che detta assenza si fosse protratta per un rilevante lasso di tempo tale da causare un apprezzabile danno patrimoniale all’azienda» precisava che «la vastità e la diffusività del fenomeno era tale da impedire in maniera assoluta il pedinamento di tutti i soggetti coinvolti».
 
 

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