Squecco e gli affidi alle onlus
senza i certificati antimafia

Squecco e gli affidi alle onlus senza i certificati antimafia
di Petronilla Carillo
Venerdì 29 Gennaio 2021, 06:15 - Ultimo agg. 07:59
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Ci sono alcuni dettagli dell’inchiesta «Le croci del Silaro» che potrebbero aggravare nelle prossime settimane la posizione di Roberto Squecco. E, soprattutto, incidere sul ricorso al Riesame contro la misura restrittiva del gip e quella patrimoniale dei giudici della sezione Misure di Prevenzione (presidente Gaetano Sgroia). Uno di questi è la conclamata appartenenza dell’imprenditore cilentano al clan Marandino.

«Le sentenze di primo e secondo grado - si legge nel provvedimento dei giudici della Prevenzione - indicano come uno degli scopi del clan è quello di creare una forma di monopolio nel settore delle onoranze funebri nei territori di Capaccio ed Agropoli proprio attraverso Roberto Squecco il quale intendeva consociare tutti gli imprenditori operanti nel settore inducendoli attraverso il metus operato dal clan Marandino».

Dettaglio, questo, che riprende anche il gip nella sua ordinanza. Ai fini della riconducibilità di Squecco a Marandino - si legge ancora nel provvedimento riguardante la misura patrimoniale - poco importa se la Cassazione ha annullato la sentenza di secondo grado con rinvio». E Marandino nella storia professionale di Squecco rientra sempre: a lui si ricollegano gli altri dettagli che potrebbero, questa volta, incidere seriamente sulla posizione giuridica di Squecco e ampliare le indagini. 


L’IMMOBILE
Il primo dettaglio è rappresentato dal comodato d’uso concesso dal comune di Capaccio il 2 febbraio 2017 di un immobile a Licinella all’associazione onlus Croce Azzurra. Quell’immobile altro non era che la villa sequestrata precedentemente proprio a Giovanni Marandino. L’affido, che secondo le tesi accusatorie, non sarebbe mai stato effettuato previa la presentazione di un progetto, era caratterizzato da proroghe trimestrali. Proroga che la giunta nel giugno del 2018 rigettò fissando il termine del 31 gennaio 2018 per la consegna. Circostanza ribadita, successivamente, con una mail i primi giorni di gennaio del 2019. Nonostante ciò in quell’immobile il medico rianimatore, l’infermiere e l’autista dell’ambulanza (mezzo compreso) non hanno mai lasciato l’immobile. Fino a quando non è sopraggiunto il sequestro dei mezzi da parte degli agenti della Squadra mobile di Salerno ad ottobre 2019. E la riconducibilità dell’onlus a Squecco. 


I CERTIFICATI
Roberto Squecco è destinatario di diverse interdittive antimafia ma, la cosa più particolare emersa dalle indagini, sarebbe un’altra: le associazioni affidatarie del servizio ambulanze non hanno mai prodotto le certificazioni antimafia da consegnare al Comune. E, quando queste sono state richieste, su sollecitazione degli investigatori alla prefettura, sono state negate. Questo perché, come scrivono i magistrati della sezione Misure di Prevenzione, la riconducibilità della associazioni a Squecco è evidente dai rapporti di parentela dei prestanomi utilizzati. Un soggetto, l’imprenditore cilentano, ben noto a «questo tribunale» scrivono i giudici firmatari del provvedimento di sequestro dei beni che già si erano pronunciati su una precedente richiesta inoltrata dalla Dia. «Dopo l’arresto del 2014 - si legge nelle carte - Roberto Squecco non ha mai interrotto le sue illecite attività proseguendole fino all’attualità per perseguire un duplice obiettivo criminoso-La prima è di costituire una rete di associazioni che dietro l’apparente finalità umanitaria di trasporto infermi drenano denaro pubblico dalle Asl che in minima parte destinano al servizio pubblico.... Lo scopo di Squecco è di costituire un monopolio e la prova è data dalla partecipazione di treonlus a lui riconducibile al bando per la postazione del 118 a Santa Maria di Castellabate. L’altro obiettivo, secondo i magistrati, sarebbe stato quello di creare una analoga situazione anche nel servizio onoranze funebri prendendo clienti proprio attraverso il trasporto infermi». Le due attività imprenditoriali, secondo legge, sono incompatibili: chi pratica l’una, non può praticare l’altra.

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