Negramaro a Sanremo 2024: «Ricominciamo dal festival»

«Tornare è un atto di speranza e una sorta di imperativo categorico, anche dopo il Covid»

I Negramaro tornano a Sanremo
I Negramaro tornano a Sanremo
Federico Vacalebredi Federico Vacalebre
Martedì 23 Gennaio 2024, 06:30 - Ultimo agg. 18:09
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Vent'anni dopo, vabbè sono solo 19, lasciamo stare Dumas, che qui poi i moschettieri sono sei: i Negramaro tornano a Sanremo, dove furono eliminati nel 2005, tra le Nuove Proposte, e dove iniziò il loro successo. Sangiorgi & Co. erano tornati, finora, solo da superospiti, nel 2018 e nel 2021. Stavolta sono in gara, con «Ricominciamo tutto», ballatona alla Coldplay con esplicite citazioni battistiane.

Chi ve lo fa fare, Giuliano?
«La voglia di ricominciare anche noi, come dice il titolo, non dopo una crisi, non dopo le celebrazioni per il ventennale. Ricominciamo dai nostri errori: il testo che ho scritto invita a sbagliare ancora, a non pretendere di imparare dalle cadute. Amadeus ci ha invitato ogni anno, con questo pezzo al quinto invito gli abbiamo detto di sì. Avevamo la puzza sotto il naso, come forse anche voi della stampa, nei confronti del Festival.

Amadeus, e Baglioni prima di lui, ma soprattutto Ama, hanno eliminato ogni forma di pregiudizio. Qui c'è la musica italiana».

Non il rock però: bocciati i Subsonica, bocciati forse anche i Marlene Kuntz.
«Mi dispiace, speriamo di rappresentare il partito delle chitarre elettriche. Ma, soprattutto, oggi rock è anche rap, trap, urban... È l'urlo, magari giovanile, che conta, non il genere. La filosofia che c'è dietro prima del sound».

Vabbè, torniamo a quel 2005.
«Tu e i tuoi colleghi ci regalaste il premio della critica, ma fu traumatico essere eliminati, non arrivare alla finale giovanile. Se le radio non avessero subito iniziato a trasmetterci a manetta forse ci saremmo sciolti. Ecco quello smacco non fu errore da cui imparare, un trauma su cui riflettere, ma una tappa, fondamentale, del viaggio, della corsa. Tornare è un atto di speranza e una sorta di imperativo categorico, anche dopo il Covid, la pandemia, la separazione forzata. Per stare bene bisogna riconoscere nell'altro la persona pura, non filtrata da pregiudizi. Se i greci dicevano “Conosci te stesso”, io citerei Neruda: è importante rinascere ogni giorno. Lo è per tutti noi Negramaro: Giuliano, Andro, Lele, Ermanno, Danilo e Pupillo. Per chi ci ascolta, per chi sarà sul palco al nostro fianco: abbiamo tutti diritto a un reset, una ripartenza».

Insomma, una canzone per reclamare il diritto all'errore.
«Sì, soprattutto da giovani. Bisogna concedere ai ragazzi la libertà di sbagliare, non aspettarli al varco se a 16 anni non hanno i numeri di Elodie o di Madame. L'errore rivela la personalità, gli artisti devono avere il tempo di sbocciare. Pensa a Blanco, che l'anno scorso non riuscì a gestire l'imprevisto sul palco. In una società che basa tutto su pollice verso e pollice in su, non riesco a riconoscermi nello squadrismo di pensiero».

All'Ariston dirigerà l'orchestra per voi Davide Rossi. Parliamo del brano?
«La canzone è nata in cima ad una montagna, a Roccaraso, di fronte ad un manto di neve immacolato, dove, con la mia compagnia Ilaria, vedevo mia figlia Stella correre: un momento di grande felicità che mi ha fatto pensare che bisogna tornare a guardare il mondo con meraviglia ed un entusiasmo rinnovato. Il pezzo per me va avanti e indietro nel tempo, come “Intestellar”, il film di Christoher Nolan. Sintetizza le nostre influenze, dagli U2 a David Bowie, passando per i due Lucio: Dalla e Battisti».

A proposito: non è che il 9 febbraio, nella serata delle cover canterete «La canzone del sole», che citate nel testo? Magari con Malika Ayane?
«No comment».

Prima di ricominciare tutto: rimpianti?
«Nel 2005 dopo l'esibizione chiamai al telefono mio padre, che non c'è più. Mi manca il poter fare quella telefonata e anche il Giuliano che sapeva provare dolore per una scomparsa. Una volta che hai attraversato la sofferenza per una persona cara che se ne va non senti più niente. E questo non me lo perdono».

Quest'estate vi aspettano gli stadi.
«È tutta una questione di santi, anche se laici: Sangiorgi, Sanremo, l'ex San Paolo che oggi si chiama Diego Armando Maradona, anzi san Diego Armando Maradona, e anche San Nicola: da pugliesi, per la prima volta faremo lo stadio di Bari. Cominciamo da Napoli, finalmente si inverte la rotta dei grandi tour che viaggiano dal Nord verso il Sud. Per noi della provincia leccese Napoli era ed è capitale. Di musica, di cultura, di vita, di grande bellezza».

Avete lanciato il giro di concerti suonando Pino Daniele sotto casa di Pino Daniele.
«È stata un'emozione fortissima, ho iniziato a strimpellare la chitarra a 9 anni perché c'erano le sue canzoni da imparare, negli ultimi tempi con il Lazzaro Felice pensavamo persino di scrivere una cosa insieme. Io non mi sentivo all'altezza e lui ha mandato in Paradiso dicendomi: “Facciamolo, guaglio', tu tiene l'anema e lo stesso culure mio”. Troppa grazia. In piazza Santa Maria La Nova ci siamo esibiti dove lui è cresciuto, davanti al fratello Carmine, il mitico o Gio', il figlio Alex, che con la sua fondazione sarà al nostro fianco il 15 giugno a Napoli: porterà sul palco, prima di noi, a cantare le canzoni di suo padre dei ragazzi che fanno fatica a studiare musica, che meritano una possibilità».

Altre presenze in scena?
«Abbiamo invitato Jovanotti, che siamo andati a trovare qualche giorno fa in ospedale: può venire a fare un warm up, in vista di quando potrà tornare anche lui sul palco. I nostri stadi sono i suoi».

Un nuovo album è in arrivo?
«Lo chiuderemo dopo il Festival, senza fretta, con la consapevolezza di ciò che stiamo facendo». 

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