Avere voglia di andarsene, pensare di mollare tutto, non per aver fallito, ma per stanchezza. Mentale. Lasciare tutto sul più bello perché la giostra è meravigliosa e gira che è un incanto, ma alla lunga dà le vertigini. E quindi fermatevi, voglio scendere perché più di così, in questo Napoli, non si può.
Quella del Napoli è una delle panchine più ambite del mondo ma consuma, è una goccia che scava e scava, finché arrivi a credere che è meglio fuggire perché da un certo momento in poi, quasi, non ce la fai più a gestire quello che c’è intorno, compresa una società molto snella per struttura e organico e che ruota, in ogni decisione, sulla figura del presidente e del suo ad, Andrea Chiavelli. E poi basta. Ma Aurelio De Laurentiis inizia, forse, a prendere atto della distanza. «Nella vita la liberà è un bene incommensurabile, non si possono tarpare le ali a nessuno. L’importante - dice a SkySport De Laurentiis - è restare grati a chi ti ha dato e chi ha ricevuto. Chi “ha dato ha dato ha dato... chi ha avuto avuto avuto”».
Ieri all’Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, il patron non ha potuto fare a meno di parlare del suo tecnico e del braccio di ferro. E in maniera preoccupante alla domanda su Spalletti non ha glissato. «Se ripartiamo con lui? Noi ripartiremo alla grande e non ci fermeremo mai più.
Alla lunga per Luciano Spalletti hanno un peso l’organizzazione del club, l’incertezza dei troppi addii all’orizzonte e la paura, enorme, di non riuscire ad avvicinarsi ai traguardi di questa stagione. C’è l’amore della città che lo incanta ma lo spaventa pure: cosa succederà la prossima stagione se non dovessimo essere in lotta per lo scudetto? Importante: non è una strategia finalizzata a ottenere un aumento dello stipendio. I soldi, in questa faccenda, non contano nulla. Anche se lui si aspettava una chiamata per discutere del contratto e del futuro durante la sosta del Mondiale, quando il Napoli aveva già un gran margine di vantaggio: è da qui che, forse, è nato tutto. È stato un anno di tensioni: perché non ha apprezzato la “guerra” tra il club e gli ultrà («La prossima volta che vedo quelle scene di contestazione mi alzo dalla panchina e me ne vado») e neppure le critiche continue all’Uefa da parte di De Laurentiis mentre la squadra era in corsa per la Champions. E poi, ovvio, ci sono le tentazioni: ha 64 anni e arrivato dove è arrivato lui, non può non sognare una panchina in Premier. E segnali di stima li ha già avuti: ma ora deve liberarsi dal Napoli. E ammesso che De Laurentiis non punti i piedi. La guerra fredda tra Spalletti e De Laurentiis non è certo legata a una Pec che il patron ha inviato: arriva da prima, molto prima. Magari è solo il “casus belli”.
Il primo scontro un anno fa dopo la sconfitta ad Empoli, quando senza ascoltarlo De Laurentiis ordinò il ritiro. Poi la retromarcia ma il patron volò a Castel Volturno e iniziò a guardare da vicino come la squadra si allenava, temendo un calo fisico. Spalletti, ovviamente, non ha mai gradito. Ma ha girato pagina: da aziendalista ha accettato le partenze di Mertens, Koulibaly e Ospina e ha lavorato sodo sulle giovani leve portate in dote da Giuntoli. In ogni caso, è chiaro che qui non si diverte più. Ed è evidente che l’addio lo sta preparando da mesi, e non da qualche settimana. Non può e non vuole trovarsi spiazzato: e allora sta cominciando a girare intorno al problema. Ha chiamato Antonio Conte, solito amico dei momenti difficili, che è pronto anche a ridimensionare il suo ingaggio per tornare in serie A. Poi c’è l’idea Rafone Benitez che pure galleggia tra i pensieri. Ma senza trascurare la pista che porta a Vincenzo Italiano. Maurizio Sarri? No, nessun contatto. Anche perché c’è ancora la corsa della Lazio alla Champions.