Spalletti migliore allenatore del 2023: «Cara Napoli, la panchina d'oro è per te»

«Ricordo ogni cosa di quei giorni dello scudetto vinto a Napoli»

La premiazione di Luciano Spalletti
La premiazione di Luciano Spalletti
Giuseppe Taorminadi Pino Taormina
Martedì 30 Gennaio 2024, 07:00 - Ultimo agg. 18:01
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Il trionfo dello spallettismo. A quasi vent'anni di distanza dalla prima Panchina d'Oro, vinta ai tempi dell'Udinese, Luciano Spalletti si ripete. Neppure Alexandre Dumas avrebbe potuto scrivere un romanzo più bello. E chissà che malinconia per il saggio Luciano nel ripensare al giovane trionfatore dell'edizione 2005, quando il tecnico toscano di Certaldo era solo un promettente ragazzone di belle promesse che portava il Friuli in Champions a suon di gol di Bierhoff. Ora il ct straccia tutti, votato quasi all'unanimità (solo sei voti per Simone Inzaghi, finalista della Champions) dai colleghi dell'Associazione allenatori. «È una meraviglia per me questo premio. Ricordo ogni cosa di quei giorni dello scudetto vinto a Napoli, mi emoziona ancora il pensiero di quello che abbiamo vissuto». Spalletti e Napoli sono legati da qualcosa di indissolubile: lo scudetto. Come due genitori che si separano ma devono sempre occuparsi e amare i proprio figli. Mai una parola di amarezza, mai una frase acida. Spalletti ringrazia tutti e tutto: «La città, Giuntoli, i miei calciatori, la società con a capo De Laurentiis». È l'ennesimo riconoscimento per il titolo delle meraviglie conquistato con il Napoli dopo il premio Aic, il premio Bearzot e il secondo posto nella classifica di allenatore più bravo del mondo (alle spalle di Guardiola). Sta facendo collezione di trofei perché quella con il Napoli è una impresa da Olimpo del Calcio: leggendaria.

È stata un'annata magica. Anche Giuntoli ha appena avuto il riconoscimento a Dubai come miglior ds del mondo e De Laurentiis era nelle nomination come miglior presidente della stagione. Spalletti sulla panchina (d'oro) del Napoli ha portato tutti il meglio di sé: la sua ideologia, la confezione di un personaggio atipico e interessantissimo, non classificabile all'interno delle altre specie di tecnico esistenti in natura. E che ha entusiasmato mettendo insieme le vittorie e la grande bellezza. Isolandosi come nessun altro al mondo: rintanato a Castel Volturno, in una stanzetta che era poi anche il suo ufficio, negli ultimi sette mesi di permanenza in azzurro. È il secondo tecnico della storia del Napoli a vincere la Panchina d'Oro (trofeo-capolavoro realizzato dalla Iaco Group ad Avellino): l'altro è stato Maurizio Sarri, al termine della prima stagione in azzurro e non di quella dei 91 punti. Per intenderci. Un vincente speciale. Racconta visibilmente emozionato e sinceramente ancora travolto da quelle immagini del trionfo: «Ringrazio tutti, innanzitutto i miei calciatori del Napoli, il direttore Giuntoli e i miei collaboratori. E la società che è guidata da De Laurentiis. È stato un cammino bellissimo in una città magnifica, mi viene ancora da piangere pensando a quello ho vissuto. Al Napoli vanno fatti i complimenti: ha fatto vedere il calcio bello, il calcio vero, quello senza confine dove tutti possono partecipare e divertirsi. E anche a Napoli per come ha vissuto quei giorni». Spiega ancora commosso: «Sono partito dal basso, con mio fratello che mi portava la borsa e la scambiavo coi libri di scuola, e ora sono in paradiso e alleno la Nazionale. Anche in un momento abbastanza difficile per il calcio italiano, ci sono sulle panchine allenatori di grandissimo livello. Ricevere la Panchina d'Oro da colleghi di questo livello vuol dire ricevere la stima da allenatori tra i più bravi del mondo. È il miglior premio che potessi ricevere e che auguro a tutti di ricevere. Questo premio mi impone di essere un allenatore migliore in futuro. La chiave d'accesso è essere in evoluzione continua. Dobbiamo mettere i giocatori a proprio agio ma noi non vinciamo niente, sono loro che buttano la palla dentro», racconta. Spalletti ha voluto dedicare anche un nuovo messaggio a Gigi Riva: «Era perfetto, il personaggio non personaggio che pensava solo a donare agli altri».

E poi sulla Nazionale: «Non prometto nulla, ma ci temeranno». E poi parla di Sinner: «Sono colpito dalla semplicità, umanità, quell'essere un ragazzo tranquillo che ha fatto del lavoro e dell'umiltà la sua forza maggiore. Voglio parlare con lui». Parole di un vincente speciale. Autorevole e autoritario, conduttore di uomini. Produttore di successi e trionfi. Un vero saggio, un maestro di tattica, ironia, flemma e buon senso. Le sue battute e i suoi paradossi hanno fatto sorridere in campo e fuori. Che a Napoli, visto il cammino di questa stagione, tutti rimpiangono e invocano. Quasi a furor di popolo. 

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