Carcere di Santa Maria Capua Vetere, il testimone in aula: «​Detenuti costretti dagli agenti a denudarsi»

La ricostruzione in aula: «Tutto sembrava normale con l'ora d'aria fatta verso le 9»

Le violenze nel carcere di Santa Maria Capua Vetere
Le violenze nel carcere di Santa Maria Capua Vetere
Martedì 19 Settembre 2023, 11:50 - Ultimo agg. 18:09
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Detenuti costretti dagli agenti a denudarsi più volte, a fare le flessioni e a tagliarsi la barba. È quanto raccontato dal testimone Alessandro Marino al processo per le violenze al carcere di Santa Maria Capua Vetere, avvenute il 6 aprile 2020 in pieno lockdown per il Covid.

Il dibattimento davanti al collegio di Corte d'Assise del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, presieduto dal giudice Roberto Donatiello (a latere Honoré Dessi), con 105 imputati tra agenti penitenziari, funzionari del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (Dap) e medici dell'Asl di Caserta, si sta svolgendo nell'aula bunker annessa al carcere.

Marino, detenuto all'epoca dei fatti e costituitosi parte civile, rispondendo alle domande del pm Daniela Pannone ha ripercorso quei momenti, dalla mattina del 6 aprile, in cui «tutto sembrava normale con l'ora d'aria fatta verso le 9» al primo pomeriggio, quando «alle 15.30 dovevano venirci ad aprire le celle ed invece non sono venuti.

Capimmo però che stava succedendo qualcosa, perché sentivamo le urla dei nostri compagni. Gli agenti iniziarono dal primo piano, poi alle 17.30 arrivano al quarto piano nella nostra sezione. Pensammo che fosse spedizione punitiva per la protesta pacifica del giorno prima, in cui avevano chiesto rassicurazioni sul Covid».

Marino racconta che nella sua cella arrivano parecchi agenti, «avevano caschi, manganelli, mascherine e passamontagna, non li conoscevo, ma loro stessi dicevano che erano del carcere di Secondigliano. Io e miei tre compagni, tra cui Lavoretano che aveva il busto, fummo fatti spogliare e costretti a fare le flessioni. Non cercavano nulla in cella, poi ci colpirono con i manganelli. Quando finimmo le flessioni, i miei tre compagni furono portati fuori, io invece no. A me intimarono di tagliarmi la barba in tre minuti, altrimenti me l'avrebbero levata loro con le mani. Mi dissero fai schifo e volevi fare il boss visto che poco prima avevo risposto male ad un agente».

Ecco quindi che Marino, come continua nel suo racconto, viene portato in corridoio, dove viene «colpito più volte», e poi nella rotonda della sezione, dove viene fatto inginocchiare e messo faccio al muro. «Ad un certo punto arrivarono tre agenti che conoscevo perché lavoravano nella mia sezione, mi hanno alzato e fatto svestire. Mi hanno quindi accerchiato, uno mi manteneva da dietro, uno davanti mi colpiva davanti con pugni allo stomaco, il terzo rideva e mi insultava. Hanno fatto questo due tre volte, mi facevano svestire e mi picchiavano». 

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Marino dà conto di un altro episodio che lo ha choccato, quando «un poliziotto molto alto e grosso mi chiese di dove ero; gli dissi che provenivo da Aversa, e lui lo ripetè, io pensai che fosse una cosa a mio favore, e invece lui mi diedi schiaffi molto forti a due mani». Marino racconta infine di essere stato picchiato sul pianerottolo delle varie sezioni: «ogni rotonda di sezione trovavo la stessa scena, agenti che mi bloccavano e cominciavano a colpirmi con i manganelli». 

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