A tredici giorni dalla rapina in stile "Arancia Meccanica" che, nella notte tra il 21 e il 22 aprile, ha visto come vittime l'avvocato penalista Vittorio Giaquinto e una coppia di coniugi suoi vicini di casa in via Tanucci, le indagini della Squadra Mobile della Questura, coordinate dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere, proseguono senza sosta.
Nei giorni scorsi sono scesi in campo anche gli analisti dello Sco, il Servizio centrale operativo reparto della Direzione centrale anticrimine della Polizia di Stato che svolge attività investigative su criminalità organizzata e semplice, non meno pericolosa. Si tratta di esperti analisti facenti parte di una particolare divisione dello Sco - specializzati nella "lettura" di dati informatici e tutto ciò che attiene alla tecnologia e alla logistica elaborando e diramando metodi di indagine per il contrasto di manifestazioni della criminalità comune di maggiore gravità, come nel caso del raid notturno commesso nella casa-studio del noto penalista del foro di Santa Maria Capua Vetere.
In mano agli investigatori c'è una serie di elementi raccolti dopo le prime ore del raid, durante il sopralluogo: dalle possibili impronte lasciate dai componenti della banda nelle due case prese di mira a quelle probabili lasciate sui telefonini presi alla coppia di coniugi e poi abbandonati nel giardino adiacente il fabbricato da dove sono entrati e usciti.
In aggiunta, ci sono le immagini catturate dalle telecamere dell'abitazione-studio dell'avvocato e da quelle delle vicine strade, ma sono stati acquisiti anche diversi hard-disk contenenti le immagini di videosorveglianza di diverse banche. Ovviamente, si va anche dietro nel tempo per verificare appostamenti di auto o moto: un'attività complessa che è la punta di un iceberg. Gli 007 cercano, dunque, di identificare i quattro banditi che hanno commesso le due violente rapine in casa, colpendo prima la coppia di coniugi, malmenati e legati, e poi l'avvocato, vero obiettivo della banda. Il loro scopo, stando alle indagini, era mettere le mani su una terza cassaforte che, però, non c'era.
I malviventi, a volte immortalati con cappellini e in alcuni casi con una sorta di scaldacollo che abbassavano leggermente, secondo l'impressione di Giaquinto erano giovanissimi e agitati, forse sotto l'effetto di sostanze stupefacenti.