Scudetto Napoli, una domenica batticuore con vista sul tricolore

Colori, passione, tensione, countdown: sarà il gran giorno del terzo scudetto dopo 33 anni?

Il Ponte della Sanità tinto d'azzurro
Il Ponte della Sanità tinto d'azzurro
di Antonio Menna
Sabato 29 Aprile 2023, 23:45 - Ultimo agg. 30 Aprile, 10:30
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«Ci vuole più fumo, se lo facciamo accussì, nun se vere niente», urla un ragazzo steso sull’asfalto, sotto un enorme Vesuvio di cartapesta colorato di azzurro e bianco allestito nei Quartieri Spagnoli. Il vicolo si chiama Via Parrocchiella a Santa Maria di Ognibene, è una stradina laterale e anonima della parte alta del dedalo quartierano, una traversa di via Girardi, poco sopra Montecalvario. C’è tutto l’armamentario classico dei Quartieri: i bassi, i balconcini, i panni stesi, i bazar dei cingalesi. E proprio qui un gruppo di tifosi ha montato un piccolo presepe con tutti i simboli della festa: il vulcano placido, ad altezza d’uomo, un asinello che sale licenziosamente in groppa a una zebra, uno scudetto enorme dipinto su una parete.

«Per la festa deve essere perfetto, guagliù. Deve funzionare, proviamo, proviamo». Il finto Vesuvio ha un buco, dove sono infilati tubi e fili elettrici. All’ora dell’ufficialità, deve simulare un’eruzione con luci e fumogeni. Ma tutto deve andare bene. Organizzazione. Prove. Allestimenti. È una Napoli matematica, quella che ha in pancia la festa in queste ore di attesa. Come una donna gravida che sente le acque sul punto di rompersi, che fa di conto, che ha la borsa pronta, il marito in allerta: ora arriva, arriva, ma è sicuro. Nessun dubbio. Non è una Napoli scaramantica, questa che attende. Non ci sono curnicielli. Nessuno scongiuro. Nessuna incertezza. Una città che si arrende alla logica e ai numeri. Per una volta è sicura, solo questione di tempo. 

«Ma lo vinciamo, lo abbiamo già vinto, questo scudetto», dicono i ragazzi che danzano intorno al Vesuvio di cartapesta, cercando di farlo fumare in modo che si veda da tutto il vicolo. Entrano ed escono da un negozio con l’insegna Kitti market. Montano, smontano, frenetici e precisi, proprio come Eduardo col suo presepe in casa Cupiello. «E al fischio finale esploderà con fuochi di artificio», rivelano. È un carnevale, una grande festa in maschera, un addobbo permanente, questa attesa che “pippèa” come il sugo della domenica, ribolle lento il ragù della festa, ore prima, e ci sarà il momento di sedersi a tavola e godersi tutto. Quartiere per quartiere, vicolo per vicolo: c’è disciplina e c’è orgoglio, c’è l’attesa dolce di una festa che se non è oggi, è domani, è dopodomani, ma arriverà. Ed è tutto un allestire. Bandiere. Magliette. Striscioni.

 

I fratelli Riccardi, lungo corso Amedeo di Savoia, hanno bardato col tricolore il loro negozio di frutta e verdura. All’interno, preparano anche piatti a tema, come le fragole alla Oshimen: ricoperte di cioccolato, con granella bianca. «Si vendono, si vendono – dice Antonio Riccardi - abbiamo fatto confezioni da 12 e da 24, con il Napoli, tutti le vogliono a tavola. Siamo in attesa, siamo pronti. Sarà una grande festa di popolo. Noi la faremo qua, sul ponte, siamo già organizzati». Il ponte è quello della Sanità, che di primo mattino è stato bardato con un enorme tricolore che lo fascia dall’inizio alla fine. «Sarà la festa del nostro quartiere – aggiunge Roberto Riccardi - non abbiamo nessuna intenzione di muoverci.

Ogni rione avrà i suoi festeggiamenti. E di feste ce ne saranno due: una con la certezza matematica, magari oggi stesso. E un’altra a fine campionato». 

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Proprio sotto il ponte della Sanità, è stata tirata a lucido quella che sembra una cappella votiva. Qui, in realtà, fu fatto nel lontano 5 luglio del 1985 il primo murales di Maradona in città. Lo disegnò un ragazzo palestinese. Scolorì dopo pochi anni ma intorno, come per non perderlo, ci hanno attaccato immagini e segni. Con lo scudetto, quei disegni hanno ripreso vigore, e i turisti del Miglio sacro – i gruppi organizzati che camminano dalle Catacombe di San Gennaro a quelle di San Guadioso – fotografano tutto, curiosi e stupiti. Anche il Nuovo Teatro Sanità non ha resistito all’allestimento calcistico. Striscioni, bandiere spuntano tra gli angeli della vecchia chiesa che da anni ospita spettacoli teatrali con ragazzi del quartiere. «Le bandiere le hanno messe proprio i ragazzi – dice Mario Gelardi, che di questo spazio è anima e corpo -. Qui teatro non lo faremo più. Ma diamo ristoro ai turisti, che vengono a visitarlo». Tutto intorno, intanto, impazzano i preparativi per la festa. Maradona, ovviamente. Maradona, ovunque. Maradona nell’alto dei cieli. Maradona che benedice, che osserva, che accudisce. «Noi non siamo tifosi, siamo adoratori – dice Nicola, negozio di vernici e materiali edili a Largo Totò -. Maradona è il nostro Dio pagano».

L’ennesima effige è stata dipinta proprio due giorni fa, davanti a un’edicola (di giornali, stavolta), sotto il ponte. E davanti al sagrato della Basilica di Santa Maria della Sanità, conosciuta come San Vincenzo, proprio sul selciato, vicino al monumento che ricorda il povero Genny Cesarano, un gruppo di ragazzi con precisione millimetrica disegna un enorme scudetto tricolore. Vernice colorata sui basoli antichi. Dietro le loro spalle, un’altra immagine di Maradona, una di Genny (che qui fu ucciso da innocente durante una sparatoria) e una frase d’orgoglio: essere napoletano è meraviglioso. Lo pensa anche Peppe, 41 anni, piccolo di statura a causa di una malattia, e monumento del rione Sanità al tifo azzurro, con il suo balcone al terzo piano tappezzato di magliette, bandiere, poster e perfino una calcomania con il suo volto. Dal suo balcone si allunga anche un poster con Pelè e, ovviamente, Maradona. «Questa non è una vittoria solo sportiva – dice, con le lacrime agli occhi -, questo è un riscatto. Io quando ero ricoverato al Fatebenefratelli, dalla mia finestra, vedevo lo stadio. Da bambino sono stato lì anni, per le mie patologie. E ho sognato tutta la vita questo momento». Mentre Peppe parla viene fermato da decine di persone per fare selfie benauguranti. «Il mio sogno? – rileva – è che qualche calciatore venga a trovarci qui, a festeggiare con noi alla Sanità. Anzi, faccio un appello. Venite in mezzo a noi, mescolatevi con la vostra gente. Vi aspettiamo». 

Difficile, in questa sorta di 24 dicembre, in questa lunga vigilia, in questo Sabato del villaggio metropolitano, trovare un angolo della città che non sia in allestimento. San Rocco ringrazia i Campioni d’Italia, si legge dopo il Garittone. La gente di Scampia vi dice grazie. Chiaiano vi saluta, campioni. È un palio tra quartieri, negli allestimenti. E ognuno prepara la sua festa. Nel Cavone, dietro piazza Dante, la signora Anna, 65 anni, ha montato il suo addobbo con le cassette della frutta di un negozio vicino. La scritta Napoli con luci colorate. La mostra orgogliosa e poi indica i festoni azzurri che addobbano anche una statua di Padre Pio. «Io sono devota – dice – sia al santo sia al Napoli». A piazza Dante, mentre vengono montati i punti salute dell’Asl, la Municipalità srotola uno striscione di festa, che invita però a tenere la città pulita. Un bandierone azzurro campeggia anche su Palazzo Doria D’Angri, a Monteoliveto, e un altro striscione enorme, con l’effige di Maradona e di Troisi, si vede anche a Piazza Municipio. Alto e basso, popolo e classe dirigente, vicoli e piazze: è qui la festa, è ovunque, è trasversale, è nobile, è plebea, è profana, è sacra. Lungo via Francesco Girardi sale un maggiolino bianco con lo scudetto azzurro. Lo guida Antonio Navarra. Ha anche una vecchia 500 tutta colorata con le insegne del Napoli. Viene fotografato da tutti. La festa è anche una occasione narcisista per chi ama mettersi in mostra. «Io giro così da novembre – dice -, ci ho creduto dal primo momento».

Nel cuore dei Quartieri Spagnoli, c’è ovviamente il tempio del Maradonesimo, questa nuova e spurìa religione che imperversa in città, e che attribuisce a Diego il tocco sacro e magico, da lassù, per questa insperata vittoria. «Maradona è Napoli – dice impastando l’italiano con lo spagnolo, Juan Pablo Gimenez, argentino, che vive da 7 mesi in un basso dei Quartieri, dopo aver dipinto murales in tutta la città -. Napoli è loca e generosa, è città pazza e di cuore, come Diego». Mentre parla mostra i suoi ultimi dipinti: un Maradona in tunica e corona di spine, come Gesù; un altro tra gli angeli, come un santo; un altro, più terreno, abbracciato a Nino D’Angelo.

«Sacro, profano – dice, allargando un sorriso – che differenza c’è? Io non sono religioso ma noi siamo ultrareligiosi, abbiamo energia spirituale, forza interna, cuore loco, pazzo. Napoli ha questo grido contenuto, come i popoli che soffrono e che hanno pazzia e generosità. Per questo per noi, argentini, napoletani, vittoria sportiva è vittoria doppia, doppio trionfo: sport e vita. E poi sorriso di Diego è il più bello del mondo, è sorriso eterno, sorriso del popolo». Non c’è Maradona, invece, a Forcella, che per la festa sceglie l’antico e intramontabile sfottò alla Juventus. Una vera cappella votiva, con le corone di fiori listate a lutto, è stata allestita da Mariella, con sorella e figli. «Trentatré anni fa – ricorda – con il secondo scudetto, qui mettemmo un’enorme tavolata, lunga quanto tutta Forcella, e mangiarono tutti gratis. Mia madre cucinò chili di pasta e fagioli. Quest’anno? Ci sono meno soldi, meno napoletani per strada, più turisti. Loro qualcosa lo possono spendere, no?». Così è già pronto il piano: al fischio finale, con lo scudetto cucito in petto, si alzano le saracinesche e si vendono spritz e bicchieri di vino. Forza Napoli sempre. Ma ccà nisciuno è fesso.

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