Salerno, il feto morto al Ruggi non aveva malformazioni: indagato il primario

I risultati dell'autopsia sul corpicino. Ma il medico sarebbe stato in ospedale solo il giorno dopo

Una sala operatoria (foto di repertorio)
Una sala operatoria (foto di repertorio)
di Petronilla Carillo
Domenica 7 Aprile 2024, 06:40 - Ultimo agg. 19:23
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Il feto morto nella pancia della mamma, una 35enne di Giffoni Valle Piana, dopo una prima induzione al parto, sarebbe sano. Non presenterebbe malformazioni o malattie congenite che ne avrebbero potuto causare la morte. È quando sarebbe emerso nel corso dell’autopsia eseguita nella mattinata di ieri su disposizione del sostituto procuratore Cacciapuoti il quale ha nominato un collegio peritale composto da un anatomopatologo, uno specialista in ginecologia ed un medico legale. Prima dell’esame autoptico, il pm ha iscritto sul registro degli indagati un solo medico, il primario di Ginecologia dell’azienda ospedaliera San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona: un atto dovuto, al momento, per consentire lo svolgimento dell’esame non ripetibile. Anche se, il medico, avrebbe riferito di essere intervenuto soltanto il giorno dopo, quando il feto era già morto. La famiglia, rappresentata dall’avvocato Fiorenzo Pierro, ha invece nominato quale proprio consulente il medico Angelo Rizzo; l’indagato, rappresentato dall’avvocato Giovanni Sofia, ha nominato il consulente Santurro.

Ora i risultati dell’esame autoptico, una volta elaborati dal collegio peritale della procura, dovranno essere comparati anche con quanto è stato scritto sulla cartella clinica della mamma per la quale la procura ha disposto il sequestro, per verificare bene l’esistenza di eventuali colpe mediche e, magari, anche per individuare altri sanitari che potrebbero essere coinvolti.

Nei giorni scorsi anche la direzione sanitaria dell’azienda ospedaliera, che ha aperto una inchiesta interna su quanto accaduto, aveva eseguito una autopsia sul corpicino i cui risultati ancora non sono stati resi noti. Gli esami peritali delle due indagini, quella interna e quella giudiziaria, dovranno poi essere anche questi comparati tra di loro. Su quanto accaduto, difatti, anche i vertici dell’azienda ospedaliera intendono fare chiarezza.

LA DENUNCIA

La famiglia del piccolo, per il tramite del proprio legale, l’avvocato Pierro, subito dopo l’accaduto aveva presentato una articolata denuncia contro ignoti chiedendo, appunto alla procura, di fare chiarezza su quanto accaduto e di individuare eventuali responsabili. Ci sarebbero difatti alcuni passaggi che, secondo i genitori, non sarebbero molto chiari. A partire dal monitoraggio h24 del feto dopo la prima siringa di induzione al parto. Procedimento che non sarebbe andato a buon fine e che avrebbe richiesto (di norma e secondo le accuse mosse dalla famiglia) il ricorso al parto cesareo. Invece, secondo quanto riferito dalla mamma, i sanitari si sono resi conto della mancanza del battito del piccolo, soltanto quando si stavano preparando per una seconda induzione al parto. In pratica la donna e suo marito vogliono sapere cosa è successo in quelle ore al bambino e soprattutto come è avvenuto il monitoraggio, se affettivamente è stato eseguito come da protocollo.

LA RICOSTRUZIONE

La 35enne giffonese si era ricoverata a 41 settimane ed 1 giorno di gravidanza ed era stata nel reparto di Ginecologia per tre giorni prima di essere portata in sala operatoria per estrarre il corpo senza vita del suo piccolo. In pratica l’induzione al parto, che avrebbe dovuto agevolare le contrazioni e, quindi, il parto vaginale le sarebbe stato effettuato il 21 marzo scorso, il giorno successivo poi ad un ulteriore monitoraggio ci si è resi conto della mancanza del battito. Secondo le ipotesi accusatorie, quella siringa avrebbe ridotto il liquido amniotico, provocando così il decesso del piccolo. La donna, comunque, non si sarebbe mai opposta al parto cesareo ed ora vuole sapere se, un più attento monitoraggio, avrebbe potuto consentire di salvare il proprio bambino intervenendo tempestivamente.

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