Shakespea Re di Napoli, Ruggero Cappuccio alla festa del cinema di Roma: «La mia storia d'amore e morte»

«Il film è costruito sul gioco dell'intelligenza irrazionale che governa le dinamiche fondamentali della nostra esistenza»

Una scena del film
Una scena del film
di Titta Fiore
Giovedì 26 Ottobre 2023, 07:00 - Ultimo agg. 27 Ottobre, 11:16
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Diventa un film «Shakespea Re di Napoli», il seducente e pluripremiato spettacolo di Ruggero Cappuccio che intreccia la letteratura del teatro elisabettiano con la vertigine barocca della lingua di Basile. Da trent'anni continua ad essere richiesto e messo in scena in Italia e in giro per l'Europa («è il più rappresentato dopo Arlecchino servitore di due padroni», ricorda il suo autore), nutrendosi delle suggestioni del testo tra realtà e sogno, passione e nostalgia, il rimpianto dei pensieri e il furore della carne, la vita e la morte. Ora questa storia ispirata all'intrigante mistero che da sempre accompagna i Sonetti di Shakespeare arriva sul grande schermo con la regia dello stesso Cappuccio e di Nadia Baldi. E tutto ruota intorno all'eterna domanda: per chi furono scritti i 154 Sonetti che il grande drammaturgo inglese dedicò a un misterioso «master W.H»? 

Dice Cappuccio: «Ho immaginato che nel Seicento Shakespeare, in visita a Napoli e Re in incognito per una notte, scoprisse durante il Carnevale un giovane saltimbanco di straordinaria bellezza, Desiderio, e lo rapisse per affidargli i personaggi femminili delle sue più grandi opere.

Sui palcoscenici d'Inghilterra il ragazzo sarà Desdemona, Viola, Giulietta, e per lui il Bardo scriverà i celebri Sonetti, o almeno così racconta all'amico Zoroastro Desiderio, tornato a Napoli molti anni dopo scampando fortunosamente a un naufragio». Nel film, prodotto da Teatro Segreto e Arti Magiche e appena applaudito in anteprima alla Festa di Roma, un cast di prim'ordine con Alessandro Preziosi, Giovanni Esposito, Jacopo Rampini, Claudio Di Palma, Peppe Servillo, Elio De Capitani e l'esordiente Emanuele Zappariello.  

Drammaturgo, autore di romanzi, regista di teatro e d'opera, direttore di festival, di tanto in tanto cineasta, lei porta anche nel cinema la ricchezza e i linguaggi di esperienze narrative diverse. Quanto c'era di cinematografico in «Shakespea Re di Napoli»?
«In realtà, già all'atto della sua nascita il testo conteneva il cinema, era già un mondo pieno di immagini. I protagonisti Desiderio e Zoroastro raccontano, parlano del Globe Theatre, della misteriosa audizione alla corte del Re di Napoli, dell'ubriacatura del Carnevale, e parlando ci fanno vedere un film. Era come se il testo avesse spinto perché quelle visioni prendessero corpo».

Tutto il racconto si muove sul doppio binario di verità e finzione, alto e basso, passione e disincanto, e tutto resta sospeso nella dimensione dell'arte.
«Il film è costruito sul gioco dell'intelligenza irrazionale che governa le dinamiche fondamentali della nostra esistenza. C'è un livello della vita in cui l'intelligenza razionale non serve: Cartesio, Schelling, Einstein la Gioconda non l'avrebbero potuta dipingere. Qui parliamo di creatività e della possibilità di raggiungerla unicamente attraverso l'intelligenza emotiva. Dico sempre che l'arte è la dimostrazione scientifica di fatti mai accaduti. Desiderio sogna, non sappiamo se quei fatti sono davvero accaduti, ma il sogno riesce a coinvolgere Zoroastro e noi che guardiamo sogniamo con loro. Non importa che quelle cose siano vere, è bello che un film apra la tastiera della nostra anima sprigionando accordi fino a quel momento sconosciuti».

Altro aspetto interessante del progetto, l'operazione sulla lingua: da una parte Shakespeare, dall'altra Basile.
«Li ho studiati lungamente entrambi, convincendomi che i loro mondi fossero molto più affini di quanto comunemente si pensi. Poi tutte queste sollecitazioni sono deflagrate insieme in un incontro armonico. Illuminante una definizione di Calvino: Basile è un deforme Shakespeare napoletano».

Il film è costruito come una polifonia di sentimenti.
«I cardini della storia sono quattro: l'amore, la bellezza, il genio e la morte. Shakespeare scrive 154 Sonetti che l'editore pubblica con una dedica: “al solo ispiratore dei Sonetti medesimi, al master W.H”. Chi è? Non un nobile, come ipotizzano gli storici, perché sarebbe stato impossibile non citarli con il nome per esteso, forse un giovane attore della sua compagnia. Desiderio si attribuisce quell'identità: Will come desiderio, Heart come cuore. Ad ogni modo, a un certo punto si capisce che l'autore si rivolge a una persona che ama. Ed ecco che ritorna il tema della bellezza».

Come?
«Ogni bellezza muore ma, dice Shakespeare, io farò di questi Sonetti un monumento alla tua bellezza, e anche quando essa sfiorirà nel tempo carnale, rimarrà eterna nella posterità. Perché l'unico modo per tramandare la bellezza è l'arte. La Primavera di Botticelli non invecchierà mai».

A proposito di bellezza, nel film è incarnata dal giovane comico interpretato da Emanuele Zappariello. Una sua scoperta?
«Il merito è di Nadia, lo ha notato mentre facevamo i sopralluoghi nella Reggia di Portici. Aveva la mascherina e gli occhiali, lei glieli ha fatti togliere ed è saltato fuori un Apollo. Con Nadia Baldi collaboriamo in totale sintonia da molti anni e anche sul set è stato particolarmente interessante e produttivo avere un confronto serrato e quotidiano sul progetto e su un linguaggio altro dallo spettacolo teatrale».

Cosa l'affascina dei «Sonetti» shakespeariani?
«Una malinconia struggente e inquieta. Mi piacciono le malinconie produttive che rimarcano tutta la differenza che passa tra rimpianto d nostalgia. In Shakespeare la nostalgia è interessante perché è una ricerca: mentre il rimpianto resta ghiacciato nel suo dolore, la nostalgia torna sul passato per produrre nuove idee e fa del dolore un sentimento nuovo e vitale».

E poi c'è la passione per Basile, l'autore del «Pentamerone».
«Questa nasce dalla sindrome degli antenati. Una città come Napoli ti obbliga a conoscere la sua storia. Se fai teatro, e ti avvicini a Eduardo e a Viviani, non puoi non conoscere il capostipite dell'albero genealogico, Basile appunto, drammaturgo, narratore, teatrante e letterato finissimo. E allora ti innamori». 

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