Zero: «La musica è finita
Scade come gli yogurt»

Renato Zero 2020
Renato Zero 2020
di Federico Vacalebre
Sabato 28 Novembre 2020, 21:55
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Ed eccolo, il terzo capitolo di «Zerosettanta», che poi è il «Volume 1», visto che il primo era «Volume 3». Tre dischi in tre mesi, 40 canzoni nuove, per i 70 anni del cantautore romano: provocautore agli esordi, conservautore oggi?
«Con la nostalgia dovremo farci ancora un bel cammino, o almeno così speriamo», riflette lui, sperando di aver fornito «una ricetta per riempire i vuoti e la solitudine provocati dalla pandemia». Ieri, ragazzo del Piper, sculettava in pailettes «Mi vendo», «Madame» e «Il triangolo», oggi apre un disco con «Amara melodia» e un andamento di archi e fiati imponente quanto è feroce il testo: «Voci lontane dal sentimento, dov’è finita la lirica austera... al posto tuo né inciso né strofa, suoni lontani di matrice ignota... Facile sembra ma così non è, la musica vera non si scrive da sé». Dopo la polemica contro il figlioccio/sosia Achille Lauro il j’accuse si fa violento: «Un karaoke non fa primavera.... l’arte passa la mano, allora copia ed incolla è la formula, bella, ma dal tuo pentagramma è sparita la stella». «Morto Maradona, sia sempre lode a lui, non se ne fa un altro. Non si fa un Proietti, non si fa un D’Orazio. Non si fanno un Pino Daniele o un Lucio Dalla, ma è davvero dura, dopo una stagione di cantautori così prolifica accontentarci di così poco, della produzione italiana degli ultimi tempi, che è di pronto consumo, a scadenza come lo yogurt»».
Lui, invece, si è impegnato davvero per fare musica che provi almeno a durare, con l’aiuto di Daniele Madonia, Adriano Pennino, l’Orchestra Italiana del cinema e signori turnisti. Negli ultimi 13 brani di questo canzoniere corposo, che certo non lascia intravedere crisi espressive, l’amore («C’è», il singolo apripista) convive con le riflessioni autobiografiche («Nemico caro»), i ricordi di borgata («L’ultimo gigolò»), le riflessioni sul «benessere assassino» («Orfani di cielo») e interrogativi feroci come «L’Italia s’è desta?», dolente descrizione di un’Italia che non c’è più e di un’altra - quella odierna - che proprio non gli piace, roba da sentirsi «soli in balia di questa democrazia cieca. Povera Italia sporca e trascurata, disorientata e fragile, tutti che urlano “giustizia e libertà” però hanno smesso di credere», canta Renato che spiega: «È il disincanto dell’amante deluso, non la rabbia del populista. È il grido di denuncia, ma anche la richiesta di soccorso di chi non riconosce più il Belpaese, di chi si sente perso nel Malpaese».
Ma non demorde, Zero: «Ho parlato al telefono con la sindaca Raggi di Fonopoli, la cittadella della musica progettata ma mai finora realizzata, nonostante il confronto con tre sindaci, durante quattro legislature. Io non mollo, le ho prospettato l’idea di utilizzare anche spazi in disarmo, come le caserme, spero ancora di coinvolgere imprenditori sani, votati non solo al profitto. Sogno che dalla fine del coronavirus nasca un’Italia ricompattata che sappia raccogliere energie e focalizzarle su progetti utili».
Ma come presentare dal vivo, nei tour che verranno, queste 40 canzoni? Non sono troppe, insieme ai successi di una lunghissima carriera a cui i fan non rinunceranno mai? «Aspettiamo che il Covid-19 vada via e poi...

ci vorrà una sei giorni, bisognerà diluire il repertorio in più riprese, come feci dieci anni fa con “Sei Zero” a Villa Borghese». Intanto, non toglietegli la messa di mezzanotte a Natale: «Non lo dico da fanatico, ma da chi ha sposato la tradizione. È l’occasione per ringraziare il padreterno per tutte le possibilità che mi ha offerto». Per qualcuno sarà l’ennesimo incendiario diventato pompiere, per altri un giovane ribelle cresciuto, forse persino maturato.

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