«Mare fuori»: dalla serie tv al musical. Per la prima volta ne parla il suo artefice, un beniamino del pubblico: Alessandro Siani: «Sa che ci sarà anche il piccolo teatro di Eduardo, realizzato 38 anni fa nell'istituto penale minorile di Nisida? Oggi è abbandonato. Oltre un milione di euro: tanto ci vuole per restaurarlo! Quel posto mi sembra una metafora dell'Italia. Perciò, ho voluto inserirlo nella drammaturgia; per smuovere le acque. La gente deve sapere, intervenire, partecipare. E io ho preso a cuore il problema».
La prima nazionale di «Mare fuori - Il musical» è in programma all'Augusteo il 14 dicembre, con repliche fino al 14 gennaio.
Alessandro, cos'è questo musical, una versione aggiornata di «C'era una volta... Scugnizzi»?
«Noi napoletani non dimentichiamo la tradizione, ma oggi musica e linguaggi sono diversi dal mondo fantastico di Nanni Loy e Claudio Mattone. Quella era una generazione AC, questa è DC».
Spieghi.
«AC, prima del cellulare... DC, dopo».
Com'è nata l'idea?
«Già da un paio d'anni pensavo a un musical, dopo le esperienze appaganti di “Stelle a metà” e dello spettacolo su Maradona al San Carlo... La storia di “Mare fuori” si adattava bene alla riscrittura in un altro linguaggio, quello del teatro. La serie è un dramma. Io pensavo a un dramedy, dramma & commedia, che offrisse almeno lo spiraglio di un futuro più roseo ai giovani detenuti. Il musical me lo permette, ma... avevo bisogno di coinvolgere chi lo aveva concepito. Perciò, ho chiamato gli sceneggiatori della fiction, Cristiana Farina e Maurizio Careddu, per garantire continuità narrativa senza rinunciare alle novità. Ho proposto le mie idee, cose nuove che la gente non ha visto in tv. Per esempio, proprio il teatro in miniatura di Eduardo nell'istituto penale minorile di Nisida, ricostruito in palcoscenico. Là i nostri ragazzi faranno delle prove per montare un possibile spettacolo. Teatro e musica: entrambi sono forti strumenti di coesione. Lo spettacolo lo confermerà».
Quindi, riprenderete la storia e i personaggi televisivi, con alcune novità di specifica matrice teatrale.
«Sì. Racconteremo la vita in carcere di giovani che hanno commesso errori; che non devono diventare eroi, ma far riflettere educatori e coetanei».
Altri momenti inediti?
«Dopo aver parlato con la direttrice, Rosa e Carmine tornano alle loro brande e, insieme, sognano come sarebbero state le loro vite se non avessero preso strade sbagliate. E la scena, il film di quel sogno, prenderà magicamente vita».
Insomma, lei ha voluto inserire la speranza.
«Nel primo tempo aleggerà il dramma, sentirete violenza e odio. Nel secondo l'amore non trionferà, ma farà capolino come un raggio di sole in un cielo di nuvole. La vita è emozione».
Sempre più eclettico, curioso e sperimentatore Siani, però, non rinnega il passato. Lo dimostra «Vent'anni di Fiesta 2003/2023», che debutterà nel giorno di Natale al Diana.
«Lo show fu un fenomeno, le battute divennero tormentoni. Geolier, il rapper, me lo ha confermato: “Sono cresciuto con loro”. Ora è giunto il momento di riproporlo, in versione più moderna, tra vecchio e nuovo repertorio».
Celebra se stesso?
«No, celebro l'eroe di Fiesta, Tatore, costruito dopo tante serate in una discoteca del tempo, Il Pandemonio, bestiario antropologico sorprendente, esilarante, fucina degli underground napoletani. Da loro presi spunto per il mio personaggio; ovviamente giocando con le esagerazioni. Sì, celebro Tatore, emerso dall'anonimato di una discoteca per diventare un cult».
E com'è cambiato in 20 anni?
«Oggi racconta in modo diverso, ha fatto il lifting al motorino, ha conservato l'irriverenza ma, nel fondo... ecco, nel fondo Tatore non potrebbe mai far parte di Mare fuori».
E perché?
«È troppo buono».