Petros Markaris e Maurizio de Giovanni: Charitos e Ricciardi faccia a faccia

L'incontro tra giallisti al Campania libri festival

Petros Markaris e Maurizio de Giovanni al Campania libri festival
Petros Markaris e Maurizio de Giovanni al Campania libri festival
di Giovanni Chianelli
Sabato 7 Ottobre 2023, 07:00 - Ultimo agg. 8 Ottobre, 08:55
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Lettori italiani di tutte le età si fermano a salutarlo, una trentenne si commuove dopo l'autografo, lui sembra un po' stupito, pur restando cortese, disponibile, pronto alla battuta. Petros Markaris, il principe dei giallisti greci, è tra gli ospiti di punta del «Campania libri festival». Ottantasei anni, con il suo commissario Kostas Charitos, «il Montalbano di Atene», è tradotto in tutta Europa. Una figura molto seguita anche per il taglio sociale, che indaga nell'Atene degli ultimi 40 anni, tra i cascami del regime dei colonnelli e gli inizi della crisi economica greca. Una metropoli moderna, afflitta da traffico e abusi edilizi, corruzione e malavita, in grado di rivelare all'improvviso la bellezza dell'eredità del passato. Ricorda qualcosa? «Napoli, Atene, ma anche Istanbul, dove sono nato, hanno in comune la convivenza di storia e presente».

È la prima volta che viene qui, protagonista con Maurizio de Giovanni di una intervista doppia sui loro personaggi, Charitos e Ricciardi, preceduta da uno scambio di complimenti ed elogi per le rispettive opere. Si erano già conosciuti e l'affiatamento si è notato subito, sono entrati nella sala, sold out da giorni, a braccetto. È stata anche l'occasione per lanciare l'ultimo volume della saga di Charitos, La rivolta delle cariatidi (La nave di Teseo), uscito da poco; la storia di un gruppo di giovani attiviste, le cosiddette Cariatidi, deciso ad ostacolare i piani di alcuni investitori stranieri sbarcati ad Atene e apparentemente intenzionati a valorizzarne il millenario patrimonio culturale. «La capacità di Markaris è raccontare soprattutto il sentimento della crisi greca, ovvero come il Paese vive l'allontanamento dal resto d'Europa in seguito ai dissesti.

In questo è commovente», fa notare de Giovanni durante il dibattito.

Markaris, è la sua prima volta a Napoli. Che idea si è fatto?
«Mi ricorda molto Atene e altre città della Grecia. La commistione tra elementi del passato e quelli del presente è senza soluzione di continuità e la si trova nella vita di ogni giorno. Ma non bisogna andare per forza alle rovine archeologiche, basta guardare il luogo dove ci troviamo, il Palazzo Reale: un edificio carico di storia nel cuore della città».

Cosa significa per lei Napoli?
«È la patria di uno dei miei idoli, Eduardo. È stato tra gli autori che mi hanno ispirato, e se mi è venuta voglia di scrivere testi teatrali è perché guardavo a lui. Era una celebrità quando ero piccolo, in Grecia molto amato. Ma ho una passione anche per altri autori italiani».

Quali?
«Calvino, di lui ho letto molto. Poi Sciascia, ne invidio lo stile asciutto e inesorabile, l'analisi politica severa, mi piace la sua serietà. E il mio vecchio amico Camilleri».

E de Giovanni?
«Con Maurizio ci siamo incontrati diversi anni fa, ma purtroppo non ho mai letto i suoi romanzi: non sono ancora tradotti in greco. Mi interessa capire come ha fatto ad ambientare le storie in un'epoca in cui non ha vissuto».

Atene e Napoli sono due città in giallo, come ha spiegato assieme a de Giovanni nell'incontro affollato.
«Credo che diversi luoghi del Mediterraneo si prestino alla letteratura in generale, penso a Istanbul soprattutto, dove sono nato. Se poi, come accade puntualmente, l'eredità mediterranea ha lasciato tracce di grandezza e miseria, bellezza e conflitti, ecco che città come le nostre diventano location ideali per un noir, per una storia di crimine ma anche per gli affreschi sul loro patrimonio, per una riflessione su quanto bene e male si sovrappongano fino a coesistere. Nel mio caso Atene è qualcosa di più, è la coprotagonista delle storie».

Nel suo ultimo romanzo torna sui problemi economici e sociali del suo Paese. Come sta la Grecia?
«Quello che è accaduto negli ultimi 30 anni da noi è tanto più grave perché è come se condensasse tutto i limiti della società occidentale, e non a caso è successo nel posto dove il pensiero che l'ha nutrita si è formato. Adesso la crisi sembra scongiurata ma la paura resta, dobbiamo darci da fare per uno sviluppo più equilibrato, perché non crolli tutto all'improvviso, di nuovo; non riesco a dirmi ottimista, ma forse sono preoccupazioni da persona anziana. Sono cresciuto in una società in cui circolavano valori diversi, ora sembra che tutto giri attorno ai soldi. Lo dico anche nell'ultimo libro, una società in vendita non mi piace. C'è una sola cosa che mi rende positivo rispetto al futuro: i giovani, loro hanno capito che bisogna combattere per un mondo più pulito, nell'ambiente e nella società». 

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