Il cavaliere Forgione: «Così salviamo la chiesa di Sant’Antonio»

Il cavaliere Forgione: «Così salviamo la chiesa di Sant’Antonio»
di Alessandra Gargiulo
Domenica 21 Giugno 2015, 15:17 - Ultimo agg. 15:21
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«Non c’è mattina che non mi bagni la faccia in questo mare, accanto al mio Sant’Antonio». A Mergellina, all’altezza dello Chalet delle Rose, Alfredo Forgione, il Re della pizza, nominato Cavaliere da Giorgio Napolitano, ha tanto da raccontare. Non di quel miracolo fatto d’acqua e farina, ma di devozione, la sua e di quanti vivono per il mare di Napoli.

Pescatori da generazioni che trovano ricovero e conforto nella centenaria cappellina votiva di Sant’Antonio a Mergellina, porta d’accesso al piccolo locale dell’omonima associazione cattolica, rifugio di pescatori nei giorni di burrasca e quotidiano luogo d’incontro dei più anziani che l’età ha strappato alle onde.

Ed è ancora la voglia di mettersi in discussione sul Lungomare di Napoli a spingere il Cavaliere, dall’intramontabile verve, a una nuova scommessa, poche parole e tanti fatti: «Ristrutturare la cappella e rendere più confortevole l’appoggio dei pescatori». I fondi? «Li troveremo grazie anche al sostegno di tutti i ristoratori del Lungomare ai quali ho fatto appello per un contributo» spiega Forgione.

Il Cavaliere si impegna in prima persona: «Donerò l’intero ricavato del mio secondo libro in uscita tra agosto e settembre. La dedica? A Sant’Antonio, che con la sua mano da ragazzino mi salvò la vita da un investimento». Forgione gli è devotissimo, ancor più che a Padre Pio di cui è pronipote.

Così dopo il titolo «C’è Alfredo?», domanda di rito ancor’oggi per chi entra da «Fresco», sarà «Il Cavaliere Alfredo Forgione» custode di 50 anni di vita e mestiere - ricette comprese - di chi come lui, nativo del Sannio, si sente «figlio di Napoli e del suo mare». Lo stesso mare che trattiene a sé i fedeli dell’associazione, più di una trentina che si autotassano.

Sfilano il presidente Emilio Di Pinto, il suo vice Enzo Velotti, il tesoriere Domenico Sansone, Giovanni Ramaglia, titolare del ristorante «Da Dora»: vorrebbero fare di più per il luogo di culto e l’intera comunità. «Ma i soldi? - chiede Forgione -. Le autorità competenti prendono invece di dare: Curia, servizi ecologici, corrente, al solo Demanio versiamo più di mille euro l’anno. Perché altre associazioni non hanno queste uscite?».

Da qui l’accorato appello all’«equità» con l’obiettivo di «ricevere qualcosa dei lasciti alla Chiesa da parte di persone danarose».