Autonomia differenziata, il Nord vuole erogazioni a piè di lista senza pagare tasse locali

Tre costituzionalisti bocciano il disegno di legge alla Fondazione Mezzogiorno

Tre costituzionalisti bocciano il disegno di legge
Tre costituzionalisti bocciano il disegno di legge
Marco Espositodi Marco Esposito
Giovedì 6 Aprile 2023, 07:03 - Ultimo agg. 20:00
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Inadeguata. Pericolosa. E, soprattutto, irrazionale. Usano termini non paludati i tre professori chiamati dalla Fondazione Mezzogiorno a radiografare la riforma dell'autonomia differenziata. «Persone con idee, sensibilità, provenienze culturali diverse - ha sottolineato martedì sera Antonio D'Amato, presidente della Fondazione Mezzogiorno - a volte discutendo sono volate le carte ma sono giunte alla medesima conclusione». Massimo Bordignon insegna alla Cattolica di Milano, Giuseppe Pisauro alla Sapienza di Roma, Sandro Staiano alla Federico II di Napoli. In comune hanno l'attenzione ai fatti, la passione per il dettaglio, la cura nell'argomentare. Criticano la riforma Calderoli nel suo insieme, ma senza rigettarla in blocco: emerge il desiderio di suggerire correttivi di merito e di metodo. Ecco, in sintesi, il loro messaggio a partire dal passaggio forse più sorprendente: al contrario di quanto si afferma con orgoglio in Veneto e in Lombardia, la riforma dell'autonomia differenziata non porterebbe affatto una maggiore responsabilità dei territori. Anzi, il contrario. Spezzerebbe il rapporto tra imposte chieste ai propri cittadini e servizi offerti. Il Nord vince facile con una sorta di copertura statale a piè di lista delle nuove e maggiori spese regionali e, persino, degli imprevisti.

«Diciamolo con chiarezza - sottolinea il presidente dei costituzionalisti italiani Staiano - l'obiettivo del trasferimento di funzioni è il trascinamento di risorse». «E se si leggono le bozze d'intesa - puntualizza Pisauro, per otto anni presidente dell'Ufficio parlamentare di Bilancio - ci sono spese in più per voci che oggi lo Stato non prevede, come la previdenza complementare o il fantasioso capitolo chiamato da Lombardia e Veneto sovvenzioni e benefici di ogni genere».

In effetti oggi le regioni potrebbero, con i poteri esistenti, erogare benefici o prevedere per esempio una previdenza complementare extra.

E saprebbero anche come trovare i soldi: utilizzando le leve fiscali già esistenti come l'addizionale regionale Irpef. Leve che il Veneto, invece, non ha mai attivato rispetto al minimo obbligatorio di 1,23% e la Lombardia ha ritoccato appena. Per cui l'addizionale regionale Irpef nel 2023 è 1,23% fisso in Veneto; 1,73% massimo in Lombardia mentre in Campania 1,73% minimo e 3,33% massimo. Quindi l'obiettivo di chi spinge per l'autonomia differenziata non è fornire servizi aumentando la propria responsabilità ma utilizzare il salvadanaio nazionale per spese locali, spezzando quindi il rapporto tra contribuente-elettore e amministratore-eletto. Ecco come la spiega Bordignon: «Il modello di finanziamento previsto dalla delega è basato su compartecipazioni: per ogni funzione delegata a una regione, si calcola quanto lo stato spende attualmente in quella determinata regione e si attribuisce a quest'ultima una compartecipazione (cioè una percentuale) al gettito incassato da uno o più tributi nazionali nella regione stessa, in modo che le garantisca esattamente gli stessi soldi spesi dallo Stato in quella funzione. Così a tempo zero, primo anno di devoluzione, nessuno ci perde e nessuno ci guadagna. Benissimo. Ma cosa succede negli anni successivi? Dal ddl Calderoli sembrerebbe che la regione si tiene la stessa percentuale dal tempo zero all'infinito, salvo considerare la possibilità che se le risorse così decentrate si rivelassero insufficienti, cioè se la dinamica della spesa per la funzione delegata fosse maggiore di quella del gettito compartecipato, il governo centrale interverrebbe con risorse addizionali. Ma così non va bene, perché tutto il rischio finanziario resterebbe sulle spalle dello Stato centrale, mentre i possibili vantaggi andrebbero solo alla regione».

Si spezza insomma il principio «no taxation without representation» in base ai quali i coloni americani nel 1776 rifiutarono le tasse imposte dal Parlamento di Londra, nel quale non erano rappresentati. Con il metodo Calderoli, il Parlamento italiano definisce le tasse ma a beneficiarne non sono tutti i rappresentati in uguale misura ma alcuni italiani più di altri. E questo perché i fabbisogni standard, cioè il livello dei servizi, verrebbero calcolati non in base alle persone (quanti studenti, malati, disabili, pendolari...) bensì «in relazione al gettito dei tributi maturati nel territorio regionale» come si legge negli accordi tra governo e regioni del 28 febbraio 2018, accordi che non a caso Calderoli mantiene in bella evidenza sul sito del ministero degli Affari regionali. In pratica i cittadini del Sud sarebbero rappresentati nel Parlamento quando c'è da pagare le tasse e uscirebbero di scena come dei coloni quando c'è da ricevere servizi, perché devono prima aspettare che siano soddisfatte le esigenze concordate dalle regioni ad autonomia differenziata, contrattate anno per anno in una commissione in cui i meridionali non siedono, formata da rappresentati del governo e della regione. 

«Quello che sorprende - osserva Pisauro - è che in un processo iniziato oltre cinque anni fa, nel febbraio 2018 con il governo Gentiloni, finora nessuno abbia chiarito cosa giustifichi richieste del genere. Nelle tre intese con Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna compare la stessa formula in fotocopia: l'attribuzione di forme e condizioni particolari di autonomia corrisponde a specificità proprie della regione e immediatamente funzionali alla sua crescita e al suo sviluppo. Nessuna specificazione, nient'altro». «Sono da sempre un autonomista - aggiunge Staiano - ma di fronte a richieste bulimiche di autonomia differenziata è doveroso rispondere a una domanda: perché. Per ciascuna funzione statale bisogna spiegare perché è vantaggioso per il sistema Paese trasferirla al livello amministrativo regionale».

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Secondo il costituzionalista Staiano la legge-quadro di Calderoli al pari di quelle avviate dai suoi predecessori «per sua natura è una legge ordinaria e pertanto può essere in tutto o in parte superata, attraverso il meccanismo dell'abrogazione tacita, dalla legge di approvazione di una intesa Stato-Regione. Una soluzione tecnica adeguata potrebbe essere semmai il ricorso alla delegazione legislativa, vale a dire alla sequenza legislativa articolata tra Parlamento e governo, nella quale la legge di delega, in virtù nel meccanismo dell'interposizione prefigurato dall'articolo 76 della Costituzione, vale a conformare la legge delegata anche quando questa assuma a contenuto l'intesa». Un'idea che comincia a circolare in Parlamento, istituzione finora tenuta ai margini dei dibattito. 

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