Gestivano l'arsenale del clan,
in sette finiscono a processo

Gestivano l'arsenale del clan, in sette finiscono a processo
di Nicola Sorrentino
Martedì 5 Gennaio 2021, 06:45 - Ultimo agg. 07:31
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Garage con dentro armi da guerra, munizioni e droga. Sono sette le persone che finiscono a processo, attraverso il rito immediato, con inizio del dibattimento previsto per il prossimo 10 marzo. Sullo sfondo l’inchiesta «Garibaldi», condotta dalla Dda Antimafia di Salerno. Alla sbarra finiscono Giuseppe D’Auria, Luciano Solferino Tiano, Salvatore Molinari, Carmine Graziano, Nadia Adiletta, Luca Ferraioli e Pasquale Avventurato. La scoperta di quell’arsenale risale al 30 maggio 2019, a Pagani, con gli arresti eseguiti poi in una fase successiva, qualche mese fa, dalla guardia di finanza. Stando alle accuse, per ora non dimostrate in questo filone, quel garage sarebbe appartenuto ad uomini del «clan Fezza». All’interno furono trovate una pistola Walter Ppx calibro 9, un fucile a pompa, un mitra ak47 (kalashnikov), una rivoltella, una pistola Smith & Wesson calibro 38, due rivoltelle, quattro bombe a mano e altrettanti accenditori, una cartucciera e circa 600 cartucce di vario calibro. Ancora, i finanzieri sequestrarono 20 chili di marijuana e bilancini di precisione. Poi arrivò il tempo delle indagini, per capire chi gestiva quel luogo, chi ne aveva le chiavi e chi fossero eventuali intermediari. Così, tra intercettazioni, pedinamenti, analisi di tabulati telefonici e rilevamento di impronte, specie sulle armi e i bilancini per pesare la droga custoditi all’interno, gli inquirenti ricostruirono i profili di almeno 9 persone, 2 di queste finite già a giudizio per accuse legate al solo spaccio di droga. Nel collegio difensivo, ci sono i legali Giuseppe Della Monica, Giovanni Pentangelo, Matteo Feccia, Bonaventura Carrara e Cosimo Vastola. Fu tuttavia grazie ad una telecamera installata in prossimità del garage, che gli investigatori registrarono diversi accessi di una Fiat Panda di colore bianco. Per almeno tre degli attuali coinvolti nell’inchiesta, la Procura scoprì che beneficiavano del reddito di cittadinanza. Il tutto fu poi revocato dal tribunale in una fase seguente all’emissione delle misure cautelari.

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