Biagio Antonacci al Palasele di Eboli: «Palco centrale e tanti successi»

«È bello esibirsi a Eboli, ma è scandaloso che da decenni Napoli non abbia uno spazio adatto»

Biagio Antonacci al Palasele di Eboli
Biagio Antonacci al Palasele di Eboli
Federico Vacalebredi Federico Vacalebre
Giovedì 25 Maggio 2023, 11:00
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È il palco centrale, non a caso promosso nel titolo, la caratteristica del tour di Antonacci che approda alle 21 al PalaSele di Eboli.

Perché un palco centrale, Biagio?
«Perchè è più inclusivo e democratico, permette a tutti di vedermi e a me di vedere tutti, è più rispettoso di chi viene a sentirmi, anche se, certo, ci vuole una bella fatica fisica per usarlo al meglio, per farti vedere ora su di un fronte ora su di un altro».

La scaletta, invece, è tradizionale.
«Assolutamente sì.

Sia nelle scelte che nel sound. L'80 per cento delle canzoni pronte ad essere sciorinate con la mia band sono hit, quelle che il pubblico vuole sentire e cantare, il resto del 20% viene da pezzi che erano nascosti negli album ma hanno trovato la strada di farsi notare. Gli arrangiamenti sono quelli originali: ho cercato di cambiarli in passato, come tanti colleghi soffro del problema di essere costretto a ripetermi, a clonarmi, ma da ascoltatore voglio sentire i pezzi che amo esattamente nella versione originale, quella che mi ha colpito, quella che mi spinge a un concerto. Con quell'assolo di chitarra, con quello stacco di batteria».

È la sindrome di «Questo piccolo grande amore»: Baglioni ha provato a cambiarla, a rivoluzionarla, persino a non farla più, ma poi si è dovuto arrendere. Il pubblico la vuole come l'ha imparata.
«Sì, io ho la sindrome di Iris: guai a toccarla».

Le canzoni non invecchiano, hanno sempre 18 anni, insomma.
«Proprio così. Per quello si parla di evergreen, di sempreverdi. Ogni tanto la Siae mi scrive per farmi i complimenti perché un altro mio pezzo è diventato, anche ai sensi burocratici e di diritti, un evergreen. Sono i cantanti che invecchiano, ma meglio non parlarne».

Insomma... I 59 anni sono magnificamente portati. Ti hanno già cercato per partecipare alle iniziative di solidarietà con la Romagna?
«No, non ho sentito nessuno ancora. Sono in tour, ma in qualche modo, se potrò, cercherò di esserci. Non è la mia terra natale, ma mi ha adottato, ho imparato a conoscerne la gente. Quella che rimetterà tutto in piedi come prima, meglio di prima, che non ha bisogno dell'elemosina dei cantanti, ma della solidarietà di tutti. Il governo oltre a metterci i soldi deve metterci il cuore, tutti possiamo fare la nostra piccola grande parte».

Bruce Springsteen è stato molto criticato per aver suonato a Ferrara senza dire una parola sul dramma.
«Non so che dire. Da una parte spendere una parola sarebbe stata la cosa più semplice del mondo. Io l'ho fatto a Reggio Calabria e l'intera platea si è alzata in piedi, è scattato un applauso caloroso, travolgente, commosso. Però sono convinto che il rocker del New Jersey qualcosa abbia fatto in proposito, magari di nascosto. La beneficenza non si fa strombazzandola, ma in privato. Io ho sempre fatto così». 

Arrivi al PalaSele perché a Napoli non c'è una struttura al chiuso che possa ospitare il tuo palco centrale, la tua produzione.
«Sì, e nei mesi precedenti, senza palco centrale, l'hanno dovuto fare Ramazzotti, Pezzali, Zero... È bello esibirsi a Eboli, ma è scandaloso che da decenni Napoli non abbia uno spazio adatto. Capisco che costa, ma, forse, Comune e privati potrebbero mettersi d'accordo per costruire un palazzetto polifuzionale, che accolga eventi musicali e sportivi. Nell'immagine di Napoli vincente questa è una macchia».

Di vincente c'è anche il Napoli, anche contro la tua Inter.
«Certo, massimo rispetto per una squadra che ha fatto un campionato magnifico, una corsa a parte. Ma l'Inter... non è così bella, ma credo abbia la cazzimma adatta per vincere la Champions league».

Auguri. 

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