Sanremo 2024, il fenomeno Geolier: «Da Secondigliano al tetto del mondo: è la prima volta»

Spopola in rete ed entra nel n.47 della top mondiale

Il tifo di Secondigliano per Geolier
Il tifo di Secondigliano per Geolier
Federico Vacalebredi Federico Vacalebre
Venerdì 9 Febbraio 2024, 09:06 - Ultimo agg. 10 Febbraio, 10:21
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inviato a Sanremo

«Ora siamo 1 a 1, vediamo come va a finire: la gara esiste, inutile barare». Emanuele Palumbo da Secondigliano, 23 anni, siede al tavolo della pizzeria scelta come quartier generale qui a Sanremo. Fuori i fan cantano in perfetto napoletano le sue canzoni, dalla prima all'ultima, «I p'me tu'pte»: in testa nella seconda classifica parziale del Festival, canzone con più streaming, videoclip con più visualizzazioni, prima nella top 50 Spotify Italia (davanti ad Annalisa, Mahmood, Angelina Mango e Irama, con oltre mezzo milione di distacco dalla seconda) e quarantasettesima, cosa clamorosa, nella top 50 mondiale di Spotify. «Da Secondigliano al tetto del mondo, credo non sia mai successo prima, di sicuro non nella musica», commenta quasi spaventato, mentre si gode la pizza che porta il nome del suo brano: provola affumicata, salsiccia e crema di zucca.

Che cosa sta succedendo, Emanuele?
«Non lo so. So che Rocco Hunt sta tifando per me, che da casa mi arriva un sostegno e un amore incondizionato. So che mi sento a disagio nel leggere quello che si scrive di me, sia come critica che come elogio. Io sono solo un muccusiello a cui hanno spianato la strada dei grandi».

Ovvero?
«Non sono il miglior rapper napoletano, ci sono campioni come Lele Blade e Luche', che con i Co'Sang ha già fatto la storia del nostro hip hop.

Però qui ci sono io, nella classifica dei dischi più venduti dell'anno scorso c'era il mio "Il coraggio dei bambini", sono io il primo artista a riempire per tre volte lo stadio Maradona. Devo tutto al rap e a Napoli: sono loro ad avermi spianato la strada, ad avermi passato il pallone davanti alla porta vuota. Mi imbarazza chi mette il mio nome nella stessa frase con quelli di Salvatore Di Giacomo, Pino Daniele, Fabrizio De André. Loro sono giganti, io uno scugnizzo che canta per i suoi coetanei, nella lingua dei suoi coetanei che sembra capace anche di viaggiare nel mondo, di farsi accettare dove non può farsi capire».

Mentre a casa c'è qualcuno che ha dei dubbi. Dopo le polemiche sulla grafia del tuo napoletano, anche il tuo primo posto parziale dell'altra sera ha fatto scatenare orde di detrattori sui social. Ma il numero dei sostenitori è ben maggiore. Ma perché parlavi di «1 a 1»?
«Perché nella prima serata non ero nella cinquina, non ho convinto la stampa, ma nemmeno me, ero emozionato, trattenuto. Nella seconda è andata meglio».

Video

E dopo questo... pareggio? Cosa prepari per spaccare?
«Nulla, Maradona prima di tirare non sapeva se avrebbe segnato».

Ma segnava. A proposito: hai portato la foto del D10s come amuleto?
«L'ho preparata, ma... l'ho dimenticata. Però il volto di Diego qui in pizzeria è ovunque, come i versi di Pino Daniele scritti anche sulle pareti. Ho ricostruito un angolo di casa, dovevo sentirne l'aria».

E per discografica hai Sara Daniele, la figlia del Nero a Metà. Hai dedicato la tua seconda esibizione a Daniele Caprio, diciassettenne di Arzano morto di tumore.
«Averlo incontrato mi ha insegnato tante cose. Se n'è andato mentre io ero qui, l'ho ricordato proprio nella sera in cui Giovanni Allevi commuoveva l'Italia con il racconto della sua malattia».

Sei tornato favorito, con Angelina Mango, anche nelle quote degli scommettitori.
«Ho già vinto, portando il rap e il napoletano a Sanremo. Ma voglio vincere davvero: per Napoli, per i ragazzi, per la mia famiglia. Siamo in tantissimi: se perdo io perdono in tanti, poco abituati a soddisfazioni e vittorie. Se vinco... io vinciamo in tanti».

E se vinci vai all'Eurofestival?
«Oddio, in napoletano, non sarebbe male, no?».

Puoi tradurre in inglese l'unica strofa in italiano.
«Ma no, traduco anche quella in dialetto».

Il video di «I p'me tu p'te» è interpretato da Maria Esposito e Artem, tra i protagonisti di «Mare fuori».
«Mi piace la serie e mi piace lavorare con giovani napoletani».

 

Invece qualcuno a Napoli non ha il tuo stesso senso di squadra, il tuo campanilismo.
«Ma va bene così, non posso piacere a tutti, altrimenti mica basterebbero tre stadi».

Sanremo è nel mirino. E il prossimo sogno?
«Oddio, dobbiamo ancora arrivare a sabato vivi. Nun è fernuta ancora. Voglio solo riportare Napoli, attraverso il rap, nel mondo. Nella mia scrittura ci sono mille influenze, mille ascolti: il rap newpolitano, la canzone napoletana classica, i neomelodici, Pino Daniele... Vuoi vedere che questo muccusiello che si fa chiamare Geolier riesce anche in questo obiettivo, grazie a dei professori di tal calibro? Ecco, loro sono i cattedratici universitari, io un debuttante delle scuole elementari: sono solo al secondo disco della mia carriera: spero di cadere mille volte e di rialzarmi 1001».

Oggi nella serata delle cover riparti dalle strade del rap.
«Sì, faccio "Brivido" con Guè, tra i primi a aver creduto in me fuori Napoli. Divido "'O primm'ammore" con un maestro come Luche': faccio questo mestiere perché sono esistiti i Co'Sang. E "smezzo" "Chiagne" con Gigi D'Alessio: io lo chiamo zio, sono onorato della sua amicizia e approfitto dei suoi consigli. Tra l'altro, il mio direttore d'orchestra è suo nipote, il mitico Kekko».
 

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