Morto Antonio Juliano, intervista a Corrado Ferlaino: «Totonno, la nostra bandiera»

«È stato il più napoletano di tutti, e sono certo di non fare torti»

Corrado Ferlaino con Antonio Juliano
Corrado Ferlaino con Antonio Juliano
di Angelo Rossi
Giovedì 14 Dicembre 2023, 07:00 - Ultimo agg. 15 Dicembre, 19:17
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«Una persona innamorata di Napoli e del Napoli come pochi», il primo pensiero di Corrado Ferlaino per Totonno Juliano. 

È stato definito, tra le leggende azzurre, il più napoletano di tutti. È d'accordo?
«Tra i giocatori napoletani, sicuramente sì. E sono certo di non fare torto a nessuno di loro».

Eppure è vissuto e ha giocato con grandi campioni come Sivori, Zoff, Altafini.
«Ma lui aveva la maglia della sua squadra e della sua città cucita sulla pelle».

Avete condiviso il Napoli per tanti anni.
«Prima da giocatore e poi da dirigente.

E c'è stata una grande differenza tra queste due esperienze».

Giocatore e capitano: era un tipo tosto?
«Sapeva far valere i propri diritti. Quando divenni presidente, lo incontrai per la prima volta in un bar di Posillipo. Mi fece presente che la squadra non prendeva lo stipendio da mesi e che il club aveva problemi economici seri. Parlava sempre a nome della squadra».

Difficile trattare con lui?
«Da giocatore sì, da dirigente no. Curava bene gli affari dello spogliatoio, a quei tempi non esistevano i procuratori, era deciso nelle sue richieste. Diciamo anche che avevamo due caratteri forti, nessuno dei due tendeva a cedere. Io facevo il presidente e lui il calciatore, però alla fine ci accordavamo sempre. Altrimenti non sarebbe rimasto tanto a lungo nel Napoli».

Totonno era anche un ottimo sindacalista.
«Parlava per sé e per la squadra. Non mi risulta che abbia mai scontentato i compagni, era un riferimento, un leader, una bandiera».

L'addio da calciatore fu un po' traumatico.
«Ci fu qualche divergenza con Di Marzio allenatore, Juliano era quasi a fine carriera, l'operazione venne fatta da Marino Brancaccio perché quell'estate mi presi un lungo periodo di vacanza».

Da dirigente invece?
«Mi è stato di grandissimo aiuto. E non ha mai fatto questione sull'ingaggio, diceva: quello che decidi tu mi sta bene. Dal campo alla scrivania, il nostro rapporto cambiò completamente. Non dico che diventammo amici ma quasi amici. Ero attratto dal suo amore per il Napoli».

L'ingaggio di Maradona è stato il vostro capolavoro?
«Senza dubbio. Ma lui già qualche anno prima ci aveva portato Krol».

Diego arrivò per merito di Ferlaino o di Juliano?
«Di tutti e due. Eravamo senza soldi quell'estate, ci eravamo appena salvati. Lo convocai nella mia stanza dicendogli: organizziamo qualche amichevole di lusso. E lui: invitiamo il Barcellona di Maradona. Ci informammo e i dirigenti catalani ci dissero che Diego non stava bene, sarebbe stato difficile portarlo qui. Un bluff, si accese la lampadina e prendemmo le nostre informazioni».

Lei lo spedì un mese nelle Ramblas.
«Gli affiancai Dino Celentano, un dirigente che aveva la mentalità del commerciante, perfetto per portare avanti una trattativa e giocare al ribasso mentre il Barcellona rialzava. Totonno fu testardo, non mollò mai la presa mentre io andavo in cerca di soldi. Stiamo parlando di 13 miliardi quarantanni fa, una cifra pazzesca».

C'era un pizzico di gelosia tra di voi?
«Non la chiamerei gelosia. Ognuno cercava di far rispettare. Da dirigente ci siamo riavvicinati tantissimo, anzi ci ha riavvicinato l'amore per il Napoli. Come giocatore si è sempre impegnato al massimo, da direttore sportivo di più. Totonno è stato il Napoli». 

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