L’attaccante di scorta, Giovanni Simeone, segna e tira fuori la maglietta di Diego Armando Maradona (10). Segna e chiude una triangolazione (borgesiana) cominciata il giorno della sua nascita: a Buenos Aires il 5 luglio del 1995, ma in un altro 5 luglio, quello del 1984, Diego Armando Maradona viene ufficialmente presentato al San Paolo, «buonasera napolitani». Appare. L’uomo che avrebbe cambiato Napoli e la storia del calcio e che Giovanni conosce grazie al padre Diego che giocò al San Paolo contro Maradona col Pisa nel 1990-91 e poi insieme nella Selección (ne ereditò persino la maglia numero dieci in Copa América, 1993) e al Siviglia di Carlos Bilardo (1992-93).
Poi, però, Giovanni, prende una piega di militanza antimaradoniana che va dal River Plate – allenato da Marcelo Gallardo – al Verona, passando per il Banfield gran rivale del Lanús squadra della città dove nacque Maradona.
Cholo-Maradona-Cholito. Questo gol permette a Giovanni di dimostrare il teorema Madre Teresa di Calcutta: «C’è sempre un posto dove puoi essere straordinario, devi solo lasciare che quel posto ti trovi». Il suo stava nascosto nel giorno di nascita, ma nessuno poteva pensarci. Bisognava triangolare quel giorno con Maradona e Napoli. E Oplà. Bastava trovare un argentino bravo e guardare bene la sua carta d’identità, e poi scorrendo le squadre precedenti, capire che era quello giusto. Gol e destino. E dopo mettersi a giocare con la negazione dell’altro scudetto, quello sarriano.
Stare dietro uno come Victor Osimhen, un demone, che vuole giocare sempre e giocando battezza le partite, con una pazienza da Dalai Lama, senza mai un fastidio, un dissidio, un lamento. Si è messo in panchina ed ha atteso i suoi momenti, li ha capitalizzati, ed è riuscito a scavarsi – da minatore d’area – il suo spazio da coprotagonista. Molta umiltà e grandi piedi. Tanta testa, nella gestione del corpo e del pallone, indirizzandolo in porta. Mai un cedimento esibizionistico, tanta ricerca del gol, sempre trovato con raffinatezza e ottima tecnica.
Si è lasciato dosare da Luciano Spalletti, mostrando una adesione assoluta alle sue idee. Insomma, Giovanni Simeone, psiche, piedi e pazienza. Equilibrio e tanti slanci, tutti – o quasi – chiusi mettendo il pallone nella porta avversaria. Era destino.