Restyling Belvedere di Caserta: «Restituiamo l'effetto cannocchiale al sito»

La richiesta di spostare i lecci

Il Belvedere di Caserta visto dall'arco borbonico
Il Belvedere di Caserta visto dall'arco borbonico
di Antonio Pastore
Venerdì 20 Ottobre 2023, 08:36 - Ultimo agg. 11:30
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L'occasione è quella dei lavori di restauro in corso al Belvedere di San Leucio, che prevedono, tra l'altro, "la riqualificazione e rifunzionalizzazione delle ex stalle reali", ovvero degli ambienti sottostanti il monumentale scalone a doppia rampa che conduce al palazzo. «I due rettangoli di verde, ai lati della salita, sono stati con il tempo occupati da enormi lecci che di fatto - accusa don Battista Marello, anima del borgo da oltre mezzo secolo e studioso del sito ferdinandeo - impediscono la visione sia dello scalone che dello stesso edificio del Belvedere». Questo potrebbe essere il momento giusto per riportare i luoghi allo stato originario, cioè a prato con fiori così che la prospettiva, da piazza della Seta a salire potrebbe riacquistare la sua dignità scenografica, quella voluta dal Collecini e dai suoi committenti.

Dall'arco borbonico, fin su verso lo scalone monumentale e poi il palazzo, si replicava l'effetto "cannocchiale" prodotto da Vanvitelli alla Reggia. «Adesso invece il disegno è illeggibile, e il Belvedere - incalza don Battista Marello - appare sospeso nel vuoto».

E gli alberi, quella quindicina di alti fusti con la loro immensa chioma? «Si potrebbero sradicare e spostare anche poco lontano, di lato, nel verde degli orti», ipotizza il prete-artista. Come prova dello stato originario dei luoghi don Battista esibisce un piatto degli ultimi anni del Settecento, decorato alla maniera del "servizio dell'Oca" conservato a Capodimonte, che mostra chiaramente la visuale di Belvedere e scalone assolutamente libera e i due spazi verdi a lato coltivati a giardino.

L'archivio personale del prete-artista conserva anche una veduta aerea degli anni Trenta del secolo scorso in cui, in quei rettangoli, si intravede un solo alberello, una situazione pressoché identica negli anni Quaranta e Cinquanta, come mostrano delle foto di gruppi familiari in posa davanti al monumento ai caduti (poi spostato) o direttamente davanti allo scalone. «La piantumazione dei lecci inizia più tardi», conclude don Battista. Completamente d'accordo con l'ex parroco di San Leucio l'architetto Raffaele Cutillo. La proposta di eliminazione del corpo arboreo a ridosso dello scalone di accesso al Belvedere, ha un fondamento storico - osserva - ed è corretto pensiero di restauro urbano filologico: quello spazio nasceva, infatti, in quanto vuoto a favore della percezione libera lungo la direttrice nord sud e, quindi, parte di un ricorrente dispositivo architettonico tipicamente settecentesco».

Francesco Collecini, d'altra parte, «era intellettuale illuminista, impregnato dei principi che esaltavano l'Artificio e la antropizzazione della Natura attraverso l'opera di architettura (così come era stato per il suo maestro Vanvitelli) e mai avrebbe ostacolato lo sguardo retto». L'abuso di "azione vegetazionale", di cui non mancano altri esempi in città, insomma va corretto drasticamente. Sull'altra barricata, come era lecito prevedere, Matteo Palmisano, agronomo, delegato Lipu e portavoce del coordinamento delle associazioni ambientaliste che contestano, alla Reggia, il progetto della sostituzione di 700 alberi lungo la via dell'acqua. Situazione non omologabile - per dimensione e finalità - a quella di San Leucio. «È vero quei lecci coprono per la maggior parte la vista di San Ferdinando Re - ammette - ma si può ovviare con la sagomatura, i lecci sono adulti per cui l'operazione di trasferimento sarebbe parecchio complicata e costosa". Il principio che muove le azioni delle associazioni in rete, spiega, è preservare sopratutto gli alberi adulti perché sono "custodi" degli eventi climatici e assorbono gli inquinanti.

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Morale: è necessario adottare tutte le soluzioni che concilino estetica dei monumenti ed utilità indispensabile degli alberi. Molto articolata la posizione di Maria Rosaria Iacono ex funzionaria della Soprintendenza e presidente della sezione casertana di Italia Nostra. «Negli anni 90 i lecci non nascondevano del tutto le architetture, e anche nel 2007 ancora si riusciva a vedere la facciata». Il problema - suggerisce - potrebbe essere risolto con la manutenzione e la cura, assenti croniche lì e altrove. Al fondo però c'è il discorso sul restauro rispetto allo stato originario dei luoghi. «Secondo le ultime tendenze, puntano a conservare, insieme a parziali ripristini dell'originale, anche le varie trasformazioni, cioè la storia dell'opera o del luogo». Un bivio, però, con molte insidie. 

 

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