Il premier segretario è partito per l’America latina con il cruccio di un caso lungi dall’essere ancora risolto. Ai suoi, prima di tuffarsi nelle vicende latinoamericane, ha lasciato una sorta di viatico: «Basta occuparsi di Marino, riguarda il passato, noi ci occupiamo di Roma e del futuro della Capitale». E del resto, spiegano i bene informati, il mandato di Renzi a Orfini commissario era ed è chiaro: chiudere al vicenda Marino, «se ci riesce bene, altrimenti i problemi si aggiungono e si aggravano». La direzione del Pd ha intanto votato la proroga della commissariatura di Orfini con 8 voti contro e 181 a favore, fatto salutato come una esortazione unitaria al Pd ad affrontare unito l’affaire Roma.
Attorno al sindaco dimissionario si è fatto il vuoto. Nessuno di quelli che una volta conferivano lo chiama più, anzi si sta ben attenti finanche a telefonargli, «quello è capace poi di convocare i giornalisti e spifferare che mi ha chiamato questo, mi ha chiamato quell’altro», racconta qualcuno rimasto scottato. «Io non lo sento da sei mesi, né lo cerco più», confessava l’altro giorno Michele Meta, coordinatore della componente ai tempi delle primarie per la leadership del Pd poi vinte da Bersani. L’unico che ancora Marino sente pare sia Marco Causi, il neo assessore e pure deputato, ma anche quest’ultimo più che dirgli «la partita è chiusa» non si spinge. Una vulgata di Palazzo vorrebbe che il sindaco uscente abbia nel ministro Graziano Del Rio un punto di riferimento per una (im)possibile mediazione. Ma ci ha pensato lo stesso ex sottosegretario, l’altra sera in tv, a chiarire tutto, quando ha ammesso «vicinanza umana» al chirurgo «ma dal punto di vista politico sta sbagliando tutto».
LA NORMA AD HOC
No, niente trattative. Marino deve uscire dal Campidoglio a mani alzate. Neanche per quell’altra vera e propria boutade di una sua partecipazione alle primarie del Pd, ove mai e quando si svolgessero, ci sono margini. Al Pd sostengono che non c’è neanche bisogno di una norma ad hoc anti Marino, «ma come si fa solo a ipotizzare una partecipazione del sindaco uscente dopo quello che ha combinato e sta combinando contro il Pd e, soprattutto, a scapito della città?», insorgono in coro ai piani alti del Nazareno. Anche da parte di Sel giunge disco rosso.
«Marino alle primarie? Roba da marziani il solo ipotizzarlo», taglia corto Paolo Cento che fu tra i fautori dell’uscita di Sel dalla giunta. «Con Marino non si può fare nulla, è bruciato, è ingestibile, la pensa così anche Nichi», conferma Arturo Scotto, capogruppo alla Camera e vendoliano di ferro. Una piccola lancia non proprio a favore di Marino alle primarie, ma a regole un po’ più certe, la spezza Nico Stumpo per i bersaniani: «Dobbiamo stare attenti, non si può passare come se nulla fosse dal partito competition aperto a tutto e tutti al partito bulgaro, con le regole che ci siamo dati come fai a dire a qualcuno no tu no, non ti puoi presentare?».
In pochi credono a una operazione politica volta a sostenere Marino fino al punto di evitare che si dimetta.
Anche quell’altra tesi del sindaco dimissionario, «il popolo di Roma è con me», che sembra più un proclama alla Cola di Rienzo che una strategia, è contestata. Michele Anzaldi, deputato renziano, fa notare che «mentre i trasporti e la metropolitana restano nel caos, il sindaco parla di sondaggi, ma una petizione sul web non si può spacciare per sondaggio, quelli veri piuttosto mettono in evidenza la disaffezione dei cittadini verso la giunta con punte dell’80 per cento».