Napoli campione d'Italia, Spalletti in lacrime: «De Laurentiis dice che resterò? Lo deve dire a me»

«Ora ho vinto, ok, ma poi bisogna di nuovo lavorare»

Luciano Spalletti tra i suoi fedelissimi col tricolore
Luciano Spalletti tra i suoi fedelissimi col tricolore
Giuseppe Taorminadi Pino Taormina
Venerdì 5 Maggio 2023, 07:00 - Ultimo agg. 6 Maggio, 09:03
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Rientra in campo, come le star. Quando tutti sono dentro a saltare di gioia. Lo fa non per ricevere l'ovazione, ma per salutare lui il pubblico delle meraviglia. «Non so cosa sia la felicità, io so solo cosa è il lavoro». Trattiene a lungo le lacrime, lo fa perché sa che ha addosso l'etichetta dell'eterno secondo ma questa volta è arrivato primo. Stracciando tutto e tutti. «Non so chi mi ha dipinto i capelli di azzurro». Alle sue spalle, nello spogliatoio, la festa è solo iniziata. Lui vi prende parte come può, alla sua memoria. «Posso solo immaginare adesso cosa sta succedendo a Napoli, non vedo l'ora di stare lì, di prendere parte alla grande festa assieme a loro. Perché questo scudetto è per loro è tutto per loro». Lucianone Spalletti da Certaldo è felice alla sua maniera. Resta travolto dall'invasione di campo, guarda con un sorriso il magazziniere Tommaso che ha tra le braccia un tricolore con il numero 3 ma poi certi fantasmi da dosso non se li scrolla, neppure in quella che è tra le notti più belle. «Sono io quello che ci ha sempre creduto in questo scudetto, anche quando l'anno scorso c'è stato chi ha contestato il nostro terzo posto dopo la sconfitta di Empoli. Sapevo che in quei giorni stavo temprando questo gruppo, stavo costruendo la mentalità che ci ha portato a questo traguardo e che avremmo potuto lottare per lo scudetto quest'anno». Non è mai stato uno che non ci ha creduto. Racconta: «Chiedete alla squadra il primo discorso dell'anno: siamo arrivati terzi, non possiamo e non dobbiamo che migliorare. E per farlo non ci resta che vincere lo scudetto». Poi, ovvio, il futuro. Spalletti contro Spalletti: «De Laurentiis ha detto che vuole ricominciare da me? Lo deve venire a dire a me non lo deve dire a voi», dice facendo una battuta ma forse è anche un modo per mettere le cose in chiaro. Non è il momento per pensare al futuro, nonostante le cose da chiarire siano tante. Insiste «Il problema per quelli abituati a lavorare duramente sempre, come me, è che non riescono a gioire totalmente nemmeno delle vittorie. La felicità è una cosa fugace. Ora ho vinto, ok, ma poi bisogna di nuovo lavorare. È un'impostazione di vita che ti toglie qualcosa», dice dopo aver conquistato a 64 anni, il più vecchio di sempre, lo scudetto. È la vittoria di Spalletti, del tecnico che è riuscito vite dopo vite e bullone dopo bullone a rimettere in moto la macchina, con tutto il materiale nuovo e tanti pezzi vecchi: una squadra uscita a pezzi dal pareggio per 1-1 di Verona, quella che ha inseguito per dodici mesi una rifondazione che è arrivata solo a giugno dello scorso anno. Dice ancora: «Vedere i partenopei sorridere è la più grande emozione. Sono loro a trasferirmi felicità. Si ha il sentimento di una città sul collo. Loro riusciranno a superare i momenti duri della vita ripensando a questo momento qui che siamo felici di avergli donato. Meno male che ce l'ho fatta a dare questa felicità ai napoletani». Spalletti è sereno. «Me la sono goduta, vedere questo stadio in festa, ho visto sorrisi e facce e questo dà la dimensione corretta. Chi lavora seriamente appena chiude il sipario deve subito andare ad alzarne un altro. La dimensione grossa non si riuscirà mai a subirla: dietro questa impresa c'è la benedizione di Maradona. Ci sono state squadre fortissime, I calciatori se lo meritano questo traguardo, questa gioia, questa felicità che bisogna condividere. Questa vittoria è per Napoli, è per loro. Ed è la vittoria di tutto lo staff di chi sta dietro le quinte. Di una società sana e della mia famiglia che in due anni mi ha visto davvero poco». 

La felicità non è per lui. E allora non si stupisca nessuno se chiedendogli quale è stato il momento più bello della stagione risponda così: «Non lo so, non me ne viene in mente uno solo. Mi viene in mente un dispiacere: l'eliminazione in Champions». De Laurentiis parla della Champions e che vuole vincerla: «Facile per lui dire così, come l'anno scorso che parlò dello scudetto e tutti guardarono la mia faccia». Non spiega quello che ha in mente. Non sono parole d'addio ma neppure dice «sì resto» come tutti vorrebbero dire in queste ore di gioia assoluta. Insiste. «È obbligatorio perché qui hanno visto grandi allenatori e grandi calciatori. Il pubblico è abituato a Diego Armando Maradona e diventa difficile andargli a dire che siamo arrivati terzi. Alle volte sento dire agli allenatori che è solo il terzo anno che lavora in una squadra, noi l'anno scorso si diceva che avevamo fallito per il terzo posto al primo anno. Il nostro obiettivo era la Champions, poi non siamo riusciti a vincere lo Scudetto e siamo anche stati contestati. E questa cosa non mi è piaciuta. Dicevano che non ero convinto di vincere, ma come si fa? L'anno scorso mi sono saltati tutti addosso. Ci sono stati Benitez, Ancelotti, Sarri che ha fatto il miglior calcio d'Italia, Gattuso che ha vinto la Coppa Italia, allora io che cosa vengo a fare? Potevo giocare solo per lo scudetto. Non possiamo essere al di sotto della bellezza di quello che faceva Maradona.

Questi ragazzi lasciano pezzi di cuore in tutte la parti». E finisce con un urlo: «Napoli è per te, forza Napoli». 

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