«Rummo», Ostetricia e Ginecologia riferimento nella rete delle eccellenze

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di Luella De Ciampis
Mercoledì 23 Ottobre 2019, 23:25
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BENEVENTO - L’unità complessa di Ostetricia e Ginecologia dell’ospedale Rummo è nella rete nazionale, in quanto ospedale di riferimento per l’interruzione di gravidanza nel secondo trimestre, per malformazioni fetali e alterazioni genetiche. Servizio che, insieme a quello dell’Ivg (interruzione volontaria di gravidanza), fornisce alle donne e alle loro famiglie, gli strumenti necessari per operare una scelta responsabile e condivisa sulla maternità. Un punto di riferimento importante, che, nell’ottica della direzione sanitaria, serve a fornire le necessarie garanzie alle donne in gravidanza e ai nascituri, per creare le condizioni per una «good practice», che coinvolgono l’intera azienda. Emergono, intanto, nuovi elementi di valutazione sulla vicenda relativa alla donna che, nella giornata di domenica 13 ottobre si era recata presso il reparto di Ostetricia, dove poi aveva espulso il feto che portava in grembo. Dalla relazione presentata al direttore sanitario Giovanni Di Santo dal responsabile dell’unità complessa di Ostetricia e Ginecologia, si desume che: «La paziente, alla ventesima settimana e sei giorni di gravidanza, sabato 12, alle 20:25 era arrivata in ospedale, riferendo di aver accusato un malore, identificato dai sanitari di turno come crisi lipotimica. Era stata visitata e sottoposta a esame ecografico, che evidenziava il normale decorso della gravidanza, la presenza del battito cardiaco fetale, assenza di contrazioni e nessuna sintomatologia, che alimentasse dubbi sulle sue condizioni. Tuttavia, la donna è stata trattenuta per due ore in osservazione, nel corso delle quali sono stati eseguiti esami clinici ed elettrocardiogramma, prima di essere dimessa. La domenica mattina era ritornata in ospedale, con una sintomatologia da lei stessa definita diversa da quella della sera precedente che interessava la zona addominale, seppure in assenza di contrazioni uterine. La visita riscontrava una condizione che non lasciava dubbi sulla possibilità concreta di un aborto imminente, peraltro evidenziata dall’esame ecografico. È stata trattata con alte dosi di farmaci per evitare l’aborto, avvenuto alle 19 della domenica». 
Inoltre, secondo quanto riportato nella relazione, le procedure adottate sono conformi ai protocolli di diagnosi e cura dell’ospedale e rispecchiano le direttive imposte dalle linee guida nazionali. «Una normale procedura - spiega Trezza, direttore dell’unità complessa e capo dipartimento del Materno infantile – prevista per un aborto spontaneo e inevitabile. Pertanto si chiarisce che si parla di un feto abortito, non capace di vita all’esterno dell’utero materno e non di un bambino». 
LO SCENARIO
«Abbiamo posto in essere un’indagine interna – conclude il direttore sanitario Giovanni Di Santo – per sincerarci sulla centralità delle cure offerte». 
Per quanto riferito da Federico Paolucci, il legale che rappresenta la donna che ha subito l’aborto, è nato un equivoco sulle settimane di gestazione, perché, nell’immediatezza dell’accaduto, non avendo avuto ancora accesso agli atti, aveva male interpretato le dichiarazioni del marito della paziente: «La mia cliente – chiarisce Paolucci – non era al termine della gravidanza, ma io ho potuto constatarlo solo nel momento in cui ho avuto accesso alla documentazione. Quindi, è corretto parlare di feto morto». In seguito alla denuncia, presentata dalla coppia protagonista della vicenda, il sostituto procuratore Maria Gabriella Di Lauro aveva avvisato le due ginecologhe in servizio presso l’azienda ospedaliera al momento dell’accaduto, che sarebbe stato affidato l’incarico a un consulente nominato dalla Procura, per stabilire le cause che avevano determinato l’aborto. Attualmente, le indagini stanno seguendo il loro corso e saranno esaminati tutti gli elementi prodotti dalle parti in causa.
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