Polveriera Nisida, il retroscena: alta tensione per il boom di detenuti stranieri

Gli immigrati trasferiti a Napoli dagli istituti di Milano e Treviso, chiusi per lavori: forti contrasti tra gruppi etnici

Il carcere di Nisida
Il carcere di Nisida
di Daniela De Crescenzo
Giovedì 16 Novembre 2023, 00:00 - Ultimo agg. 17 Novembre, 07:28
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Quello di ieri è solo l’ultimo di una serie di incendi e pestaggi che stanno agitando la vita del carcere di Nisida dove fino ad un paio di anni fa gli eventi violenti erano rarissimi. Dunque, cosa è cambiato? Come attestano gli operatori all’interno della struttura, la presenza di un folto gruppo di stranieri (sono marocchini i protagonisti degli incidenti di ieri) rende molto difficile la gestione di quella che era, e per tantissimi versi è ancora, una struttura modello.

Partiamo dal numero. Attualmente a Nisida secondo il sindacato Sappe ci sono 64 ragazzi, di cui 59 in custodia cautelare 5 in semilibertà. Non ci sono più le donne che negli anni passati avevano partecipato spesso con entusiasmo alle attività didattiche e ai laboratori. Sono arrivati, invece, molti stranieri: al momento, le cifre sono ancora quelle del Sappe, sono una ventina e la loro presenza rischia di rendere sempre più difficile la vita nell’istituto. Non ci sono fortunatamente problemi di personale. Spiega nel suo report l’associazione Antigone: «L’IPM di Nisida non soffre di particolari carenze di personale. Alla direzione dell’istituto vi sono un direttore e un vicedirettore. L’area educativa è composta da 7 funzionari giuridico pedagogici. Vi sono poi 92 agenti di polizia penitenziaria e 10 funzionari amministrativi».

Gli stranieri arrivano prevalentemente dalle carceri del Nord dove costituiscono la maggioranza della popolazione carceraria minorile.

Gli istituti di Milano e di Treviso erano stati chiusi nei mesi scorsi per interventi urgenti di manutenzione edilizia: anche là c’erano state molte devastazioni. I minori sono stati trasferiti al Sud dove tradizionalmente c’era, invece, un’utenza formata in gran parte da ragazzi del posto. La differenza, sottolineano gli operatori, non è piccola: in molti casi l’età degli immigrati è solo presunta e anche la loro identità è incerta, quasi tutti non conoscono nemmeno l’alfabeto, avendo sempre utilizzato quello arabo. E non solo: spesso esplodono contrasti tra i diversi gruppi etnici.

In questa situazione diventano difficili molte delle attività tradizionalmente messe in campo a Nisida, dal laboratorio di teatro a quello di scrittura e contestualmente sono problematiche le relazioni con le Asl impegnate a tutelare la privacy dei minori anche a scapito dell’efficienza dell’intervento degli operatori interni che non conoscono, ad esempio, le condizioni di salute dei detenuti. La cosa diventa particolarmente difficile quando ci sono confronta con tossicodipendenti che rischiano crisi di astinenza. E non solo: spesso i ragazzi stranieri che delinquono non hanno nessuna intenzione di restare in Italia e quindi sono molto meno interessati alle iniziative che puntano al recupero che sono il fiore all’occhiello, invece, dell’istituto. Nel carcere ci sono stati laboratori di ceramica, falegnameria, giardinaggio, sartoria e moltissimi progetti che hanno riguardato la stessa tenuta della struttura: i percorsi naturalistici, ad esempio, sono stati creati in collaborazione con i giovani detenuti. Contemporaneamente sono stati realizzati progetti di scrittura che hanno portato alla realizzazione di dodici volumi realizzati dai ragazzi con le maggiori firme del panorama culturale napoletane coordinate dalla prof vincitrice dell’Italian teacher Prize, Maria Franco. Iniziative difficili da portare avanti con gli stranieri.

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Una situazione che fa insorgere i sindacati degli agenti penitenziari che chiedono interventi importanti e mirati soprattutto a garantire migliori condizioni lavorative per gli agenti. Su una linea diversa il garante per i detenuti, Samuele Ciambriello, che spiega: «Io mi auguro che ci sia uno sguardo inclusivo del territorio nei confronti dei giovani detenuti che vanno coinvolti anche in attività territoriali. Ma l’intero sistema delle carceri minorili va ripensato». 

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