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“Dove c’è confusione, girano soldi” è la frase in un’intercettazione telefonica di una recente inchiesta sul riciclaggio di denaro della camorra. La confusione che, negli ultimi due anni, per la pandemia ha favorito il proliferare di aperture di ristoranti, pub, pizzetterie, bar che hanno potuto sfruttare la deroga sull’occupazione suolo moltiplicando tavolini all’aperto e guadagni. Tanti clienti e soldi in contanti non tracciati. E’ un affare per chi ha soldi da investire, coinvolgendo professionisti che spesso fanno da copertura all’impiego di denaro guadagnato con la vendita della droga e le estorsioni.
L’ANALISI
Secondo il Cerved, la più grande agenzia di rating che supporta imprese e banche dai rischi anche di infiltrazioni criminali nella gestione, circa 9mila aziende sono a rischio riciclaggio. In concreto, però, è difficile scoprire subito dove si sono indirizzati i “soldi sporchi” dei clan. Scrive il Cerved: “Questo rischio è più consistente in settori come la ristorazione per cui si è verificata, nel periodo del lockdown, una drastica riduzione dei ricavi e un forte fabbisogno di liquidità. Dopo un crollo di ricavi, che solo nel 2020 ha toccato il 56 per cento, nel settore della ristorazione si è verificato un forte deficit di liquidità da colmare”.
Difficoltà ad avere prestiti dalle banche e il ricorso al denaro in contanti dei clan è in agguato, per le particolari condizioni di favore del settore food a Napoli aiutato da un flusso turistico eccezionale. Scrive ancora il Cerved: “Le attività di ristorazione risultavano già fortemente esposte al riciclaggio di denaro alle infiltrazioni della criminalità organizzata per una serie di fattori strutturali legati al business, come l’utilizzo frequente di contante, gli alti livelli di manodopera irregolare e l’opacità della struttura proprietaria. La crisi economica innescata dalla pandemia ha accentuato la vulnerabilità del settore e ampliato i margini di infiltrazioni delle organizzazioni criminali che, grazie all’ampia disponibilità di denaro contante derivato da attività illegali, può acquisire facilmente la proprietà o il controllo di società in difficoltà finanziaria”.
LE INCHIESTE
Un rischio che sembra reale in alcune zone di Napoli, dove i locali del food si sono moltiplicati: centro storico, Quartieri spagnoli, Chiaia. La Dda della Procura di Napoli ha avviato diversi fascicoli d’indagine, con attenzione a sospette operazioni di riciclaggio del clan Lo Russo, dei Contini, anche di ex affiliati del clan Mariano che era egemone ai Quartieri spagnoli qualche anno fa. La stima del Cerved arrivava in Campania al 32 per cento di quote a rischio infiltrazioni nella ristorazione del dopo-lockdown. Aggiungendo un numero assoluto di 1098 imprese a rischio nell’intera regione, che è da allarme. Così, il problema movida a Napoli è ancora più aggravato dal pericolo riciclaggi e infiltrazioni criminali nelle attività agevolate dalla condizione di emergenza.
Spiega un inquirente della Dia campana: “I clan si inseriscono, con il loro potenziale di liquidità subito disponibile, dove le condizioni di mercato sono particolarmente favorite da regole allentate. Vedi le occupazioni di suolo pubblico senza restrizioni, gli orari di chiusura non stabili, la difficoltà a far rispettare regole a tarda notte sia sull’uso delle carte di credito sia sulla vendita di alcolici ai minori”. Così, la ristorazione, i bar, anche il proliferare dei B&b al nero sono stati un’occasione. Secondo una stima degli albergatori, sarebbero circa 18mila le camere, case vacanza, B&b in offerta su Internet, ma ne risultano solo tremila ufficiali nei pagamenti ufficiali della tassa di soggiorno al Comune. Impietosa l’analisi del Cerved per Napoli e la Campania: “L’analisi di questi alert indica che Campania e Calabria sono le regioni in cui i segnali di infiltrazioni criminale sono più frequenti nella ristorazione. In generale emerge un maggiore rischio di riciclaggio nelle regioni del Mezzogiorno in cui è più alta la presenza della criminalità organizzata”.
Un fenomeno cresciuto nell’ultimo anno. E sembra roba da preistoria la scoperta, undici anni fa, dei riciclaggi di denaro sporco in ristoranti del lungomare che la pedonalizzazione ha reso particolarmente redditizi. Al Cerved si è aggiunto l’Osservatorio centrale della polizia, che ha confermato il rischio riciclaggio nel settore della ristorazione del dopo-pandemia. Nelle indagini in corso, emergerebbero nomi di titolari di attività boarder line, ricorrenti anche in passato. Frequenti i passaggi di mano di attività, l’utilizzo di professionisti-investitori di facciata.
In uno scenario di confusione e regole saltate, con il denaro che alcuni clan hanno messo in alcune nuove attività del food napoletano, sarà impresa ardua tornare al rispetto delle leggi pre-Covid sull’occupazione del suolo pubblico e i tavolini esterni. Anche se basterebbe affiancare nei controlli la guardia di finanza alla polizia locale, imporre planimetrie esterne ai locali, monitorare l’uso previsto per legge delle carte di credito. Un’operazione non facile, in una giungla cresciuta grazie alla pandemia. E fa riflettere anche il dossier di Libera contro le mafie intitolato La tempesta perfetta 2022 – la variante “criminalità”: “Da Torino a Milano, passando per Roma fino a Napoli la catena della Ristomafia spa è diventata la lavanderia d’Italia. Più che di infiltrazione ormai si può parlare di vera infezione”. Un allarme vero e proprio, che la Dda napoletana ha raccolto.
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