La cacciatrice di anime e la misteriosa lapide di San Pietro Martire

Ombre e fantasmi del passato: il convento di via Porta di Massa e l'incredibile storia di Franceschino

La cacciatrice di anime e la misteriosa lapide di San Pietro Martire
La cacciatrice di anime e la misteriosa lapide di San Pietro Martire
di Vittorio Del Tufo
Domenica 9 Aprile 2023, 12:00
6 Minuti di Lettura

«La morte arriva a risuonare
come una scarpa senza piede, un vestito senza uomo,
riesce a bussare come un anello senza pietra né dito,
riesce a gridare senza bocca, né lingua, ne gola».

(Solo la morte, Pablo Neruda)

* * *

È meno famoso dell'altro Pietro, ovvero l'apostolo di Cristo, ma è anch'egli santo. Lo è diventato dopo essere stato assassinato, nel 1254, per mano di due sicari che gli conficcarono un colpo di accetta in testa finendolo poi con una pugnalata al cuore. Destino tragico per Pietro da Verona, martire domenicano, al quale è dedicata una delle chiese più antiche e affascinanti della città, la chiesa di San Pietro Martire, fondata nel 1294 dagli Angioini e restaurata nel Seicento dal grande architetto domenicano fra' Giuseppe Nuvolo, lo stesso autore della meravigliosa cupola maiolicata della basilica di Santa Maria della Sanità. La Napoli angioina che dialoga con quella del Rinascimento, tra le luci e le ombre di una chiesa che dopo aver resistito alle invasioni, ai saccheggi e ai terremoti, s'è dovuta arrendere a una bomba sganciata da fortezza volante durante la seconda guerra mondiale.

Secoli di storia che scorrono davanti ai nostri occhi in un luogo di culto attraversato da tante leggende. Nel sottosuolo di questa chiesa scorreva un tempo il mitico Sebeto, il fiume caro ai poeti, agli Dei e all'Uovo di Virgilio. Pare fosse usanza del popolo, negli anni del viceregno spagnolo, portare caraffe d'acqua pura di San Pietro Martire ai nuovi viceré, per farli sentire un po' meno spagnoli e un po' più napoletani, in una parola per tenerseli buoni. Leggende che rivivono nella chiesa di San Pietro Martire, recentemente restaurata grazie ai fondi europei del «Progetto Unesco per il Centro Storico di Napoli» e valorizzata grazie alle visite guidate dell'Associazione Culturale Respiriamo Arte.

La chiesa confina con l'omonimo chiostro, sede della facoltà di Lettere e Filosofia della Federico II.

Sulla facciata laterale di San Pietro Martire, fino al 1870 - quando fu portata nei sotterranei gotici di San Martino scampando così alle distruzioni del Risanamento - era murata una misteriosa lastra, di circa due metri di altezza. Sulla lastra era scolpito un bassorilievo piuttosto inquietante: il bassorilievo della Morte.

V'è rappresentata la Morte con due corone in testa, nella mano sinistra uno sparviere e nella destra una striscia di cuoio, in cima alla quale erano assicurate due ali di colombo: serviva per far tornare il falcone sul pugno del falconiere, il quale lo roteava sulla sua testa a modo di fionda, come se volesse andare a caccia. Sotto i suoi piedi sono ammucchiati tredici cadaveri. Di fronte alla Morte - spiega all'Uovo di Virgilio la storica dell'arte Pamela Palomba, dell'Associazione locus iste Luoghi e Memoria - è rappresentata una figura di uomo in lunga veste col mantello rivolto sulle spalle che ha fra le mani un sacco dal quale rovescia gran quantità di monete su di una tabella. Quest'ultima porta la seguente iscrizione di caratteri angioini, ma scritti nella volgare ed "ingenua" lingua del tempo.

Eo so la morte chi chacio
sopera voi jende munedana
la malata e la sana
die note la perchacio
no fugia nesuno inetana
pe scampare da lo mio laczio
che tucto lo mundo abraczio
e tucta la gente umana.
per che nessuno se conforta
ma prenda spavento
cheo per comandamento
de prendere a chi ven la sorte
siave castiga mento
questa fegura de morte
e pensavie de fare forte
in via de salvamento.

L'uomo chiaramente prega la Morte di risparmiarlo e dalla sua bocca esce un cartiglio con le seguenti parole:
«Tuto te volio dare se me lasi scampare»

Ma la «cacciatrice di anime» risponde con una frase che lascia poco spazio alla speranza:
«Se tu me potisse dare quanto se pote ademendare
no te scampara la morte se te vene la sorte».

Un ex voto, insomma, dal messaggio chiarissimo: nessuna ricchezza può avere potere d'acquisto sulla vita quando la Morte presenta il conto.

Agli angoli superiori della lapide sono due scudi incappati di nero ed argento, stemma dell'Ordine Domenicano, a cui apparteneva la Chiesa di San Pietro Martire. Nel 1361, data incisa sulla lastra, i Domenicani non avevano ancora «caricato» il loro stemma della stella e del cane con la fiaccola in bocca giacente su di un libro, che furono aggiunti in tempi posteriori.

La misteriosa e bizzarra lapide - apprendiamo ancora da Pamela Palomba, che ci guida in questo suggestivo itinerario - è dunque a tutti gli effetti una tabella votiva e lo storico Giovanni Antonio Summonte (autore dell'Historia della città, 1601) ci spiega la sua origine riportando, come digressione "ridicolosa" fatta per alleggerire la narrazione dei fatti storici accaduti sotto Giovanna d'Angiò, la vicenda della miracolosa salvezza dal naufragio di tale Franceschino, raccontando di come sia approdato sulla spiaggia napoletana illeso e con il fermo proposito di rendere grazie presso la prima chiesa che avrebbe incontrato, per l'appunto San Pietro Martire che si trovava allora a pochi passi dal mare presso la Porta di Massa.

Ma chi era Franceschino? Secondo il cultore di storie napoletane (e firma frequente di Napoli Nobilissima) Ludovico De La Ville sur Yllon, che nulla riuscì a trovare circa la figura di Franceschino, le parole del Summonte fanno supporre che egli sia stato un forestiero, forse genovese e della famiglia dei Brignole, accidentalmente capitato a Napoli dopo un naufragio. Il canonico Carlo Celano, autore del celebre Notitie del bello, dell'antico e del curioso della città di Napoli, cita invece i discendenti di Franceschino come suoi informatori: dunque a suo avviso se non napoletano il fortunato naufrago ebbe per lo meno una dimora sua e della famiglia in città. Sempre Celano ci fa sapere che questo marmo si trovava originariamente all'interno di una cappella eretta nello stesso luogo che poi fu distrutta verso la metà del «passato secolo», quando l'architetto Giuseppe Astarita restaurò la chiesa riducendola allo stato attuale e togliendo «spietatamente» ogni avanzo dell'«antica architettura».

La figura della Morte era molto popolare nel quartiere e spesso accadeva che chi domandasse soldi in prestito, riceveva questa risposta: «Valli a chiedere alla Morte di San Pietro Martire, che ne tiene assai». L'incauto ingenuo veniva condotto «da una persona che sicuramente ne ha tanti e te li rende gratuitamente senza interessi»: di fronte alla visione del marmo il tutto si risolveva, il più delle volte, con una risata.

Ombre, fantasmi, superstizioni del passato. E luoghi della memoria. Nel XIX secolo il monastero fu riconvertito in fabbrica di tabacchi ed infine in sede della Facoltà di Lettere e Filosofia nell'Università Federico II. Nel 1943 il monastero fu danneggiato a causa dei bombardamenti, ma dieci anni più tardi venne restaurato dall'architetto Luigi Cosenza, mentre un ulteriore restauro, avvenuto tra il 1978 e il 1983 sotto la direzione dell'ingegnere De Stefano, riportò alla luce il primitivo impianto rinascimentale. 

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