Salerno, in Appello nuovi documenti del difensore di Scarano: nessun ricilaggio

Il prelato salernitano è a processo assieme alla sua commercialista Tiziana Cascone

Monsignor Nunzio Scarano
Monsignor Nunzio Scarano
di Viviana De Vita
Mercoledì 17 Gennaio 2024, 06:05 - Ultimo agg. 06:59
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Pugno di ferro della Procura per monsignor Nunzio Scarano, già responsabile dell’ufficio contabilità dell’Aspa (Amministrazione del patrimonio della sede apostolica) e per la sua commercialista Tiziana Cascone protagonisti della maxi inchiesta della Procura, culminata nel 2013, su un grosso giro di riciclaggio compiuto dall’alto prelato con i conti esteri dell’imprenditore D’Amico. Ieri, davanti ai giudici della Corte d’Appello del tribunale di Salerno (presidente Cappiello), c’è stato l’affondo del procuratore generale Gianpaolo Nuzzo che ha chiesto la conferma delle condanne già inferte nel marzo 2022 dai giudici della seconda sezione penale che, all’esito del lungo processo di primo grado, comminarono 7 anni di reclusione a monsignor Scarano e 3 anni e 6 mesi alla commercialista. Ieri, dopo la requisitoria della Procura, la parola è passata alla difesa: le discussioni si sono aperte con l’arringa dell’avvocato Agostino De Caro difensore, insieme all’avvocato Carmine Giovine, di Tiziana Cascone. L’udienza è stata quindi aggiornata al prossimo marzo quando si concluderanno le discussioni e infine arriverà la sentenza. Sarà compito dei giudici della Corte di Appello eventualmente confermare la sentenza di primo grado e sentenziare la fondatezza dell’accusa per il reato di riciclaggio compiuto da Scarano con i conti esteri dell’imprenditore D’Amico oppure accogliere la tesi difensiva. A tal proposito, la difesa di Scarano, sostenuta dall’avvocato Riziero Angeletti del Foro di Roma, ha depositato in Appello dei documenti che punterebbero a dimostrare l’insussistenza del reato di riciclaggio. L’inchiesta, scattata nel 2013, portò la procura di Salerno ad accertare presunte false donazioni provenienti da società offshore degli armatori D’Amico transitate su conti Ior intestati a Scarano; secondo il pm Elena Guarino, che coordinò le indagini, le donazioni sarebbero servite a coprire un grosso riciclaggio di denaro. In particolare un giro di assegni che, passando sotto forma di donazioni sarebbero rientrati in un’operazione di riciclaggio. In pochi mesi l’inchiesta si chiuse: nei primi giorni del mese di luglio del 2014 il gup Renata Sessa firmò i rinvii a giudizio per il prelato ed altre persone che avrebbero, alcuni a propria insaputa, partecipato all’operazione di estinzione di un’ipoteca su un appartamento che l’alto prelato salernitano aveva dato in garanzia.

Estinzione compiuta con finte donazioni di terzi e con assegni da 10mila euro rimborsati in contanti.

Nel 2016 la prima condanna-assoluzione per il monsignore salernitano nel filone romano, una vittoria a metà: assolto dall’accusa di riciclaggio e corruzione, fu condannato solo per calunnia per aver incolpato «falsamente» un uomo dei servizi segreti di furto e ricettazione di un assegno bancario di 200mila euro che Scarano aveva consegnato all’agente in «esecuzione del patto corruttivo».

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