Torna in Irpinia il marine Minichiello: ispirò la storia di Rambo

Originario di Melito Irpino, sarà ospite dell'Avellino Summer Festival

L'ex marine Raffaele Minichiello
L'ex marine Raffaele Minichiello
di Massimo Roca
Martedì 22 Agosto 2023, 10:02 - Ultimo agg. 23 Agosto, 07:30
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Anche l'Irpinia ha il suo Rambo, o forse è proprio lui, Rambo. Il Cinema all'aperto dell'Avellino Summer Festival si chiude con un ospite d'eccezione. Stasera alle 21, nel Piazzale del'Ex Eliseo, per la quarta ed ultima serata organizzata dall'associazione Zia Lidia Social Club, arriva Raffaele Minichiello direttamente da Seattle dove vive tuttora.

È lui il marine originario di Melito Irpino che il 31 ottobre 1969 diventò celebre in tutto il mondo per il dirottamento di un Boeing, il primo nella storia dell'aviazione civile e tuttora il più lungo (19 ore e 11 mila km di volo, da Los Angeles a Roma) ricostruita nel libro di Pierluigi Vercesi. Il marine, a cui si è ispirato il documentario di Alex Infascelli Kill me if you can che sarà proiettato nella circostanza.

Presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma lo scorso anno, Kill me if you can (Uccidimi se sei capace), come recitava il tatuaggio che Minichiello aveva scelto a soli 18 anni durante la guerra in Vietnam, porta Infascelli a raccontare una storia a tappe in un misto di incredulità e sorpresa, con lo stesso protagonista che scopre le sue carte, si spoglia della sua corazza e si libera del suo peso nel film della sua vita.

Sono tanti gli aspetti che calamiteranno l'interesse. Innanzitutto la storia ed al tempo stesso la sorpresa di come sia approdata al cinema così tardi, anche se, secondo i più, fu proprio questa vicenda ad ispirare David Morrell ed il suo Rambo di First Blood, da cui il personaggio reso immortale sul grande schermo da Sylvester Stallone. Tutto comincia nel 1963: da Melito Irpino la famiglia Minichiello emigra alla volta di Seattle. Raffaele trova la sua strada arruolandosi nel marines. Si ritrova subito a combattere in Vietnam. Rientra negli States provato ed incattivito. A cambiare per sempre la sua vita un episodio apparentemente banale. Dalla sua diaria spariscono 200 dollari. Vive il fatto come un affronto: devasta lo spaccio della caserma per riprendersi ciò che gli spettava. Il gesto gli costa una denuncia davanti alla corte marziale. Il 28 ottobre del 1969, il giorno prima di finire davanti alla corte, decide che non può darla vinta a chi ormai considera un nemico. Da qui l'idea del dirottamento. Catturato In Italia per la sua impresa fu condannato a 7 anni e mai estradato nonostante la richiesta degli Usa, ma in carcere rimase solo 18 mesi. Era difeso dal principe del foro napoletano, Vincenzo Maria Siniscalchi, che si appassionò al suo caso.

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Nel 1969, in epoca di piena contestazione, diventò elemento di scontro. Ma l'opinione pubblica in fondo guardava al personaggio come simbolo di ribellione generazionale e di classe, il tutto condito dal trauma e dal disadattamento degli emigrati in un paese che non era il loro, dal dramma di un ragazzo che a diciassette anni imbraccia le armi e viene mandato nel Vietnam a uccidere, dal travaglio della gioventù dell'epoca che cercava di esprimersi al di fuori dei soliti schemi. Fu così anche per Pier Paolo Pasolini, che su "Tempo" del 29 novembre 1969, in un articolo scrisse «tutta la mia simpatia per il marine Minichiello».

Ecco: uno degli interrogativi che facilmente emergerà questa sera è proprio questo: qualora oggi fosse stata possibile un'impresa del genere, come sarebbe stata giudicata dall'opinione pubblica? E questa sarebbe ancora capace di maturare un proprio pensiero e magari di influenzare gli stessi media, di alimentare il dibattito oppure subirebbe il pensiero unico dell'establishment mondiale? Se ci pensiamo bene forse la storia di Julian Assange, ad esempio, non è così lontana da quella di Minichiello.

 

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