Essere maestri di strada significa stare affianco a chi vive in condizioni di emarginazione sociale. Ma prima di oggi, nessuno insegnava formalmente a diventarlo: con il progetto «Scuola al Cubo», finanziato dalla fondazione Prosolidar, l'associazione Maestri di strada avvia il primo ciclo sperimentale per formare i maestri di strada di domani. Un anno, seicento ore di lezione in presenza, ma anche formazione a distanza e tirocini: un sistema aperto e complesso basato sulla cooperazione educativa, in genere escluso dai programmi accademici. Ma per essere maestri di strada non basta saper insegnare, ci vuole qualcosa di diverso.
«I percorsi formativi tradizionali stentano ancora ad avvicinare le loro mappe concettuali ai territori reali e a uscire dalla ipersettorialità», spiega Santa Parrello, direttore scientifico della scuola.
Da replicare, una volta conseguito il titolo di maestro di strada, anche nella veste di insegnanti. Il corso, insomma, non arriva per caso, ma è frutto di una riflessione maturata da tempo, come spiega Cesare Moreno, presidente di Maestri di scuola, attiva ormai da vent'anni: «L'educazione in una società complessa è un'impresa difficile. Questa banale verità ha stentato a farsi spazio nei sistemi di istruzione ed educazione dell'Europa e solo da pochi anni si fa riferimento - spesso solo verbale - alle comunità educanti e ai sistemi territoriali in grado di promuovere un'educazione a tutto campo: una città che educa e che viene educata dai suoi giovani abitanti». L'associazione si è sempre occupata di mettere al centro del suo lavoro la cura di chi cura, attraverso la formazione permanente dei propri educatori, ma solo adesso il loro impegno verrà riconosciuto anche istituzionalmente.