Salerno, alloggi in scadenza per i profughi ucraini: 40 famiglie rischiano di restare senza casa

A Salerno fibrillazione tra i profughi ucraini: sono finiti i fondi: 40 famiglie rischiano di restare senza casa

Profughi in partenza dall'Ucraina
Profughi in partenza dall'Ucraina
di Barbara Cangiano
Mercoledì 4 Ottobre 2023, 06:35
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Dal 24 febbraio 2022, data che segna l’inizio di un massacro dove interi quartieri sono stati rasi al suolo e migliaia di vite umane sacrificate, sono passati quasi venti mesi. Poco meno di due anni di terrore e speranza, di corse contro il tempo e lotte alla burocrazia, di gare di solidarietà e staffette per l’accoglienza. Ma come spesso accade, la generosità non riesce ad essere eterna, perché deve fare i conti con le economie. Ed è quello che rischia di verificarsi oggi per almeno quaranta nuclei familiari di nazionalità ucraina i cui alloggi – forniti da enti, amministrazioni comunali e istituti ecclesiastici – stanno per raggiungere la data di scadenza. Gli aiuti si sono ridotti, le strutture sono insufficienti, gli spazi anche. Ma soprattutto mancano i budget per gestirli e per continuare a tendere una mano a chi una casa non ce l’ha più e non ha familiari a cui appoggiarsi. Alcune mamme sono riuscite ad affrancarsi, in dodici, su Salerno città, hanno trovato un lavoro, aprendo una partita Iva dopo aver imparato l’italiano ed essersi messe in gioco per provare a garantire un futuro ai propri figli. Altre, invece, hanno avuto maggiori difficoltà e forse anche meno fortuna e oggi temono che, una volta prive di un tetto, i servizi sociali possano separarle dai loro bambini. 
L’ALLARME
L’allarme arriva da Yarina Pylyukh, consulente finanziaria trasferitasi a Salerno da oltre vent’anni. Fin dagli inizi del conflitto è stata in prima linea, preoccupandosi di fare da ponte tra i suoi connazionali e le strutture presenti sul territorio. E all’indomani dei primi bombardamenti, fu anche la sola a non incentivare nessuna diaspora perché «ero consapevole del fatto che ci saremmo trovati impreparati a gestire l’accoglienza. Senza alcuna polemica, perché la solidarietà di cui è stata data prova è encomiabile, devo però dire di aver visto lungo – dice – Com’era presumibile, l’attenzione sulla guerra è andata scemando progressivamente e oggi la situazione non è per nulla semplice, nonostante l’emergenza continui e ci siano tantissimi ucraini in prima linea al fronte. Sono quei padri che, se sopravvissuti, non possono occuparsi delle loro mogli e dei loro figli. E non può occuparsene più a lungo anche la rete dell’accoglienza che finora le ha sostenute con grande attenzione e rispetto». Ad aggravare la situazione, il dolore che si somma al dolore. «L’arrivo massiccio di tanti profughi da Lampedusa ha complicato le cose – continua – Naturalmente non esiste una gerarchia del terrore, della povertà, del dolore, ma è anche vero che in alcuni casi sono previsti degli aiuti economici piuttosto importanti, in altri invece no». Il risultato è che si sta creando un piccolo esercito di madri angosciate, consapevoli di non avere alcuno strumento per poter pagare un fitto di casa e assicurare così una permanenza dignitosa ai propri bambini nelle more di un rientro in patria che sembra ancora lontano, in particolare per chi proviene da territori “dove sono rimaste solo macerie. Le loro abitazioni non esistono più. I loro posti di lavoro non esistono più e in molti casi neppure le loro famiglie – insiste la mediatrice – Si rivolgono a me distrutte perché il timore principale è che possano scendere in campo i servizi sociali e decidere di separarle dai loro figli, un’ipotesi reale per quanto assurda, che finirebbe per scompensare in maniera drammatica il loro equilibrio già messo a dura prova da tutto quello che hanno vissuto». 


IL RAMMARICO
La soluzione? Al momento non sembra esserci. «Le strutture gentilmente e generosamente aperte non saranno disponibili ad libitum.

E questo lo comprendo, ma va individuata una strategia per fare in modo che questi nuclei familiari più deboli possano trovare riparo altrove ed evitare di essere divisi – sottolinea Yarina – Il mio è un appello affinché le istituzioni possano fare squadra per darci una mano».

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