CrimiNapoli 34 / L'aggressione a Luigi Giuliano nel carcere di Procida

CrimiNapoli 34 / L'aggressione a Luigi Giuliano nel carcere di Procida
di Gigi Di Fiore
Venerdì 10 Giugno 2022, 12:30 - Ultimo agg. 15 Giugno, 15:42
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Procida, la capitale europea della cultura di quest’anno, è stata fino al 1988 l’isola con un carcere dove venivano rinchiusi camorristi e boss. L’edificio si trova nell’antico borgo medievale di Terra Murata, è il palazzo costruito nel ’500 dal cardinale Innico d’Avalos. Divenne carcere nel 1830, per decisione di Ferdinando II di Borbone. E carcere rimase per 158 anni. Vi furono rinchiusi Antonio Spavone, detto ’o malommo, e il capo dell’anonima sequestri sarda Graziano Mesina, ma vi vennero destinati per poco tempo anche ex gerarchi fascisti come Rodolfo Graziani o il principe nero Junio Valerio Borghese. Anche il carcere di Procida è stato luogo di vicende violente negli anni cruenti della guerra tra la camorra cutoliana e i gruppi contrapposti della Nuova famiglia, la Nf. 

Il ferimento di Lovigino

A Procida fu portato anche Luigi, detto Lovigino, Giuliano, capoclan nel quartiere napoletano di Forcella. In quel momento, aveva 33 anni ed era uno dei promotori della Nf che aveva contribuito a costituire con altri gruppi della camorra storica per contrapporsi alle pretese dei cutoliani. Giuliano venne arrestato il 15 luglio del 1982 dagli uomini della Guardia di finanza, con l’accusa di essere uno dei capiclan della camorra napoletana. Contro di lui, erano stati firmati due mandati di cattura per concorso nell’omicidio del cutoliano Ciro de Rosa, massacrato a colpi di mitra a Porta Capuana il 5 giugno del 1981, ma anche per concorso nell’uccisione dell’agente di custodia di Poggioreale, Agostino Battaglia. Sarebbe stato prosciolto in istruttoria per tutte e due le accuse. All’arresto il capoclan di Forcella manifestò con chiarezza i timori di essere aggredito, chiedendo: «Per favore, non portatemi a Poggioreale». Temeva i cutoliani rinchiusi nel grande carcere napoletano, dove in due occasioni, a novembre 1980 e a febbraio 1981, erano state eseguite tremende vendette per ordine di Raffaele Cutolo, approfittando della confusione scatenata dalle scosse di terremoto.

Un carcere rovente, dove circolavano con facilità armi e dove i direttori erano costretti a chiedere ai nuovi detenuti l’appartenenza al gruppo camorristico per evitare commistioni e agguati.

Timori che aveva anche Lovigino che, per questo, fu portato nel carcere di Procida. Ma questa scelta non gli impedì un’aggressione, mentre riposava nel cortile del carcere durante l’ora d’aria. Era il 15 novembre del 1982, lo colpirono con un violento fendente all’addome sfiorandogli il fegato. Fu trasferito subito all’ospedale Cardarelli e, a caldo, dichiarò subito: «Mi hanno fatto una infamità, durante ‘o suonno». L’aggressione fu ricostruita, ma vi furono agli inizi più versioni anche se la più accreditata fu quella di una terribile rissa che aveva coinvolto più persone. Le parole di Lovigino non aiutarono molto le indagini. Ma si accreditò l’ipotesiche il capoclan di Forcella fosse stato aggredito in fasi diverse. 

In quel periodo, per motivi di sicurezza a Procida venivano rinchiusi solo detenuti della Nuova famiglia per evitare problemi. L’aggressione a Luigi Giuliano faceva pensare a un tradimento o a un esecutore della Nco infiltrato, che aveva agito per vendetta. Con Lovigino vennero feriti altri due detenuti: il 38enne Carmine Costagliola, che era in carcere per associazione camorristica, e il 36enne Antonio Amirati di Pozzuoli arrestato per una serie di furti. Furono coinvolti nell’aggressione, senza esserne stati i bersagli diretti. Tutto accadde alle 12,30, mentre un gruppo di altri detenuti giocava a bocce. I feriti in tutto furono sei, c’erano anche il 36enne Salvatore di Massa, il 37enne Giuseppe Greco e soprattutto Carlo Biino. Era il nome più noto del gruppo, insieme con Luigi Giuliano. Era stato arrestato e condannato tre anni prima insieme con Raffaele Cutolo, nella prima inchiesta sulla Nco di cui era affiliato. Condannato a sette anni in primo grado, aveva avuto la pena ridotta in appello. Era a Procida perché aveva dichiarato di aver preso le distanze dalla Nco, ma anche allora sembrò assai probabile che durante l’ora d’aria fossero riaffiorati dei suoi vecchi rancori nei confronti di Giuliano. Si sospettò che avesse solo finto di essersi allontanato dai cutoliani per farsi trasferire a Procida e colpire il boss di Forcella. Ma non fu mai provato.

Un centinaio di persone corsero da Forcella all’ospedale Cardarelli, con in testa Carmela Marzano, la moglie di Lovigino. Chiesero notizie, si agitarono, furono trattenuti da decine di agenti di polizia. Corse anche voce che, alla notizia dell’aggressione contro il fratello a Procida, Carmine, uno dei fratelli di Lovigino, avesse tentato di impiccarsi in carcere a Pisa dove era detenuto. 

L'individuazione

In 48 ore l’allora sostituto procuratore Armando Lancuba, con l’aiuto degli agenti penitenziari e del direttore del carcere di Procida, Stefano Ricca, riuscì a individuare con precisione gli aggressori di Lovigino. Erano proprio Carlo Biino aiutato da Salvatore di Massa. Si era poi scatenata una vera e propria rissa con gli altri due feriti che avevano tentato di difendere Lovigino. Accoltellamenti violenti da una parte e dall’altra. Due, in tutto, i coltelli usati. Le spiegazioni che diedero i sei coinvolti furono vaghe e poco credibili: parlavano di un diverbio causale, sfociato in reazioni violente. Ma era invece molto più probabile che risentimenti del passato, sguardi, offese reciproche furono la spinta all’aggressione partita da Biino, che poi scatenò la reazione degli altri chi a difesa di Lovigino, chi in aiuto all’aggressore.

Fu un’altra storia violenta in un carcere campano che, passato in proprietà del Comune di Procida, è oggi in attesa di una sistemazione e un utilizzo definitivo. Quarant’anni dopo quell’aggressione, Lovigino è ormai da tempo un collaboratore di giustizia con tutti i fratelli. Vive lontano dalla Campania e ha di recente pubblicato un libro di memorie con il giornalista Simone Di Meo. Carmine Giuliano, che era soprannominato ’o lione, è morto di tumore alla gola nel 2004. Carlo Biino fu invece ammazzato in un ristorante milanese il 10 gennaio del 1991. Non fu mai chiaro se il suo allontanamento dalla Nco fosse stato reale o era stato invece soltanto una commedia. Del suo delitto furono accusati tre esponenti della Nf: Alberto Fiorentino, Vincenzo Guida e Giuseppe Mallardo. In primo grado vennero condannati all’ergastolo e nel processo alla corte d’Assise di Milano venne citata anche l’aggressione a Procida di Carlo Biino a Luigi Giuliano.

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